Reportage

Nell’Agro Pontino dopo la morte di Satnam Singh: “Tra poco tutto tornerà come prima”

Viaggio nella provincia di Latina dove a fine giugno è morto il lavoratore indiano dopo aver perso un braccio in un macchinario: ci sono stati dei miglioramenti?

  • 18 agosto, 15:45
  • 18 agosto, 15:52

Tra i clandestini dell’Agro Pontino

Laser 16.08.2024, 09:00

  • Imago Images
Di: Red./Cristiano Tinazzi

Di Satnam Singh sappiamo poco. Aveva 31 anni, tutta una vita davanti. Era arrivato in Italia dall’India. Lavorava in nero in Italia, nell’Agro Pontino, nella provincia di Latina, dove vivono migliaia di altri braccianti indiani di origine sikh che lavorano per lo più con contratti irregolari e in condizioni di gravissimo sfruttamento, assicurando frutta e verdura ai mercati di mezza Italia. Satnam Singh è morto alcune settimane fa, vittima di un incidente sul lavoro. Dopo aver perso un braccio, tranciato da un macchinario, è stato scaricato davanti a casa in condizioni disperate, l’arto superiore abbandonato in una cassetta per la frutta.

Come Satnam, migliaia di persone ogni anno vengono attirate con contratti truffa in Italia e poi abbandonate al loro destino, senza una retribuzione fissa, un impiego regolare o assistenza sanitaria. Buona parte del settore agricolo nel centro e nel sud Italia vive proprio sullo sfruttamento dei clandestini.

Laser, magazine di approfondimento dell’attualità politica, culturale, sociale della RSI, ha visitato questi luoghi e cercato di capire se la morte di Satnam Singh non sia stata vana ma abbia portato quella realtà all’attenzione delle istituzioni.

Le campagne dell’Agro Pontino sono tutte uguali. Linee piatte all’orizzonte per chilometri interrotte solo dal rilievo distante dei Monti Lepini e, verso il mare, dal promontorio del Circeo. Monotone, lunghe strade dritte che si intersecano regolarmente con altre linee rette, portando a città fondate ex novo dal fascismo e a insediamenti agricoli dai nomi simili: Borgo Carso, Borgo Piave, Borgo Grappa, Borgo Montello. E poi Sabaudia, Latina, Pomezia, zone industriali e campi, case coloniche, ville padronali, edifici pubblici legati all’architettura razionalista funzionale, espressione del fare fascista. Edifici inglobati e sommersi poi da una visione poco attenta e caotica nel boom edilizio del dopoguerra. Terre strappate alle paludi dell’imponente bonifica agraria fascista degli anni ’30. Terra un tempo data ai coloni provenienti soprattutto dal Nord Italia. Oggi quegli ex migranti sono gli stessi che in parte sfruttano altri migranti.

Qui la comunità indiana, oltre 30’000 persone per la maggior parte di fede sikh proveniente dal Punjab, costituisce il piccolo esercito silenzioso di braccianti che coltiva da decenni queste terre. Laser è con i sindacalisti delle Brigate del Lavoro, della Flai Cgil, la Federazione dei lavoratori dell’agroindustria, sindacato di strada organizzato per andare incontro ai lavoratori dei campi e per portare informazioni, solidarietà, un cappello per ripararsi dal sole, una bottiglia d’acqua per dissetarsi. Si tratta di piccoli gesti fatti per avvicinare questi lavoratori fantasma, per far capire loro che non sono soli e che hanno soprattutto dei diritti.

Racconta Matteo, sindacalista: «Latina città di valore, bonificata, relativamente giovane, sotto il livello del mare, campa sull’agricoltura. Poteva essere un plus, poteva essere un fiore all’occhiello, è diventata una piaga». E ancora: «La storia di Satnam è solo la punta dell’iceberg. È quello che più o meno succede quotidianamente da queste parti. È una provincia lunghissima, perché confiniamo con la Campania, ed è purtroppo una provincia di passaggio non essendo al centro di niente. Ed essendo di passaggio amplifica gli scambi legali e non».

Intorno a Latina ci sono tanti paesini. Negli anni si sono svuotati e sono diventati gli affitti più ricercati da questi lavoratori che vanno avanti e indietro per l’Agro Pontino in bicicletta. Dice ancora Matteo che dopo la morte di Satnam hanno tutti paura, i responsabili si comportano bene, i turni sono solo di quattro ore, ma «tra due settimane tornerà tutto come prima».

Latina sotto il sole implacabile di luglio. Il frinire dei grilli si mescola al vocìo di una piazza indignata che si è riempita di manifestanti venuti da diverse parti d’Italia. La città sembra dormire assonnata, stordita dal caldo pomeridiano. Inerte, come tutte le volte che è successo un fatto del genere. La piazza urla il nome di Satnam: «Siamo qui per Satnam, una persona, Navi, come lo chiamavano i suoi compagni. Navi è morto ammazzato dalle persone per cui lavorava. Delinquenti. Navi lavorava a nero, senza permesso di soggiorno, scaricato per strada, senza un braccio. Invece di essere portato tempestivamente in ospedale, dove avrebbero potuto salvarlo. Siamo qui per lui, per la sua famiglia in India. Siamo qui per Soni, la sua giovane moglie, una persona che lavorava con lui. Oggi è rimasta sola, senza il suo punto di riferimento».

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