«Ama il tuo sogno se pur ti tormenta». Così scrisse Gabriele D’Annunzio nel suo lungo poema autobiografico Maia. Laus Vitae. Con il Vate, Nelson Mandela condivideva l’ardore, la determinazione e la perseveranza con la quale ha inseguito il suo sogno. Sogno che gli è costato 27 anni di detenzione, ma che si è infine realizzato nel 1991, con l’abolizione delle leggi segregazioniste e la conseguente fine dell’apartheid.
La gioventù di Nelson Rolihlahla Mandela
Nato il 18 luglio 1918 nella famiglia reale dei Thembu, un popolo di etnia Xhosa che viveva in una fertile valle del Sudafrica, Mandela viene profeticamente battezzato Rolihlahla, “colui che tira i rami”, ovvero un "combinaguai" in lingua Xhosa. Sarà chiamato Nelson solo quando inizierà a frequentare il collegio coloniale britannico di Healdtown. Un nome affibbiatogli dall’insegnante, che sceglieva nomi inglesi per i ragazzini africani, al posto degli appellativi tribali.
Nel 1939, Mandela si iscrive alla facoltà di legge dell’università di Fort Hare, l’unica università accessibile agli studenti neri del Paese, dalla quale viene però espulso per aver preso parte a una protesta studentesca. Tornato a casa, si scontra con il padre adottivo, il principe reggente della dinastia dei Thembu, il quale lo promette in sposo a una ragazza del suo rango. Indomito, scappa a Johannesburg, dove trova lavoro come guardiano alle Miniere della Corona.
Proprio a Johannesburg, il giovane Mandela si rende conto della miseria opprimente e delle condizioni disumane cui sono sottoposti i lavoratori di colore. Decide dunque di terminare gli studi in legge e di aprire, insieme all’amico e collega Oliver Tambo, il primo studio legale diretto da avvocati africani del Paese, con l’obiettivo di difendere i diritti dei neri, in particolare di coloro che non possono permettersi un avvocato.
Nelson Mandela, attivista politico e avvocato, all'età di 42 anni
L’apartheid
Se nel resto del mondo il processo di decolonizzazione in quegli anni è in pieno sviluppo, in Sudafrica le politiche segregazioniste diventano invece ogni giorno più rigide. Nel 1948, l’apartheid assurge a vero e proprio sistema legislativo. L’obiettivo è chiaro: la separazione totale della società secondo classificazioni di origine razziale. In una società dove l’élite bianca costituisce meno del 20% della popolazione, questo sistema politico rappresenta il principale strumento in mano agli afrikaner per conservare il potere.
In quegli anni Mandela vive a Soweto, il più grande sobborgo nero di Johannesburg. E se Nelson diventerà Mandela, lo si deve anche al suo vicino di casa di allora, Walter Sisulu, un brillante autodidatta intellettuale che influenza e guida la sua ascesa politica. Proprio su suo consiglio, Mandela s’iscrive nel 1944 all’African National Congress (Anc) e partecipa alla fondazione della Youth League, il movimento giovanile dell’Anc, iniziando così la sua lunga battaglia contro l’apartheid.
Nel marzo del 1960, durante una manifestazione pacifica nella città di Sharpeville, la polizia spara sui manifestanti uccidendo 67 persone. L’Anc decide allora di formare un gruppo armato clandestino, Umkhoto we Sizwe (Lancia della Nazione), capeggiato da Mandela in persona.
Mandela viene arrestato e rinchiuso più volte in carcere fino alla condanna definitiva all’ergastolo, di cui restano nella storia le parole pronunciate alla fine dell’arringa difensiva: «Ho lottato contro il dominio bianco e ho lottato contro il dominio nero. Ho nutrito l’ideale di una società libera e democratica, in cui tutte le persone vivono insieme in armonia e uguaglianza. Questo è un ideale per cui vivo e che spero di realizzare. Ma se è necessario, è un’ideale per il quale sono pronto a morire».
Il mio Sudafrica, incontro con Nelson Mandela
RSI Cultura 11.07.2019, 10:45
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Mandela, l’apostolo della riconciliazione
Mandela viene rinchiuso nel carcere di massima sicurezza di Robben Island, sottoposto a un regime carcerario disumano. Malgrado le durissime condizioni riesce a imporsi per la sua calma e la sua autorità morale. Insieme ai suoi compagni trasforma il carcere in un’università improvvisata, studiando ed informandosi per corrispondenza. Per Mandala «l’educazione è l’arma più potente che si possa usare per cambiare il mondo».
Nel frattempo, le continue pressioni della comunità internazionale, le sanzioni contro il regime dagli afrikaner e la rivolta delle townships costringono Pretoria prima a trasferire Mandela in un carcere meno ferreo e poi, l’11 febbraio del 1990, a liberarlo dopo 27 anni di detenzione. Un anno dopo, il sogno di Mandela diventa finalmente realtà. Vengono infatti abolite le leggi segregazioniste, sancendo ufficialmente la fine dell’apartheid.
Nel 1993 gli viene conferito il premio Nobel per la pace «per l’opera svolta per fine nonviolenta dell’era dell’apartheid e per aver gettato le basi per un nuovo Sudafrica democratico». Nel 1994, alle prime elezioni libere e aperte a tutti i cittadini, Mandela viene eletto Presidente della Repubblica del Sudafrica.
In qualità di Presidente lavora soprattutto alla pace e alla riconciliazione, all’insegna dell’ascolto e del perdono, spezzando la spirale di odio e di violenza che permea il Paese. Al termine del mandato, nel 1999, Mandela si ritira a vita privata proseguendo il suo impegno sociale attraverso il sostegno alle organizzazioni per i diritti civili e umani.
Dopo una lunga malattia, Mandela muore il 5 dicembre 2013. La sua morte scuote l’animo di milioni di persone sparse in tutto il mondo, a testimonianza del fatto che Mandela non rappresenta soltanto il padre indiscusso della sua nazione, ma incarna il sogno di un mondo in cui l’amore e il rispetto reciproco costituiscono il preludio alla pace e alla libertà.
Nelson Mandela, 10 anni dopo la libertà
RSI Cultura 11.07.2019, 10:51
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Mandela, il capitano delle nostre anime
«Quello che conta nella vita non è il semplice fatto che abbiamo vissuto. È il modo in cui abbiamo fatto la differenza nella vita degli altri a determinare il senso stesso della nostra esistenza» (Nelson Mandela)
Madiba, nome a lui attribuito dal gruppo etnico Xhosa, ha fatto la differenza nella vita di milioni di persone. È riuscito a dare senso ai termini coraggio e giustizia, preferendo alla vendetta il perdono, all’odio l’amore. Mandela è un sognatore che non si è mai arreso. È il simbolo della vittoria dell’uguaglianza e della libertà sul razzismo e sull’oppressione.
Mandela è riuscito a diventare «il padrone del suo destino, il capitano della sua anima». I suoi valori e il suo coraggio mi auguro possano fare breccia anche nei nostri cuori, perché ognuno di noi, a proprio modo, ha la possibilità e la responsabilità di fare la differenza e di rendere il mondo un posto migliore.
A 10 anni dalla morte di Nelson Mandela
Telegiornale 05.12.2023, 20:00