Siamo sicuri che la poligamia non funzioni? O sia solo un’aberrazione di tempi premoderni, ancestrali, a loro modo barbari? La storia che narreremo oggi è in qualche modo una smentita – emblematica ma non dirimente – di tale convincimento. È quindi in qualche modo l’ennesima conferma che la verità non sta mai da una parte sola: che a volte anche il pensiero più antiquato può produrre – per così dire – miracoli.
Siamo nel governatorato di Al Menoufya in Egitto, un’area a nord-ovest del Cairo dove si vive per lo più di agricoltura e piccoli commerci legati alla campagna. Una coppia di contadini che conosco personalmente sta attraversando una crisi coniugale. Dopo un lungo periodo di diverbi lui confessa alla moglie di volersi unire in matrimonio anche a un’altra donna: una giovane paesana che ha conosciuto nei campi. Non ha ancora tradito la propria compagna e non intende farlo: per cui propone la soluzione legale, islamicamente accettata, della poligamia. La moglie rifiuta e i due decidono di lasciarsi. L’uomo va a vivere con la giovane paesana – con la quale si sposa di lì a pochi mesi – e la donna rimane sola coi figli.
Dopo tre anni i due – che nel frattempo hanno visto dissolvere i propri reciproci risentimenti – si ritrovano. E malgrado le vicissitudini intercorse durante il periodo della separazione, si scoprono ancora innamorati. A questo punto è la donna stessa (già più che matura) a proporre al marito la convivenza a tre: ovvero la poligamia. E naturalmente l’uomo – sia per convenienza personale sia per amore sia soprattutto per non contravvenire ai precetti coranici – accetta.
Comincia allora l’inferno? Niente affatto. I tre scoprono, al contrario, che quella partouze à trois funziona perfettamente: lui si unisce a turno con l’una e con l’altra, nessuna delle due ha niente da recriminare e la divisione dei compiti e spazi all’interno della nuova famiglia trinitaria trova inaspettati margini di armonia. La prima moglie diventa – secondo le sue stesse parole – «regina incontrastata» della casa, la giovane non interferisce nelle mansioni domestiche e il duplice marito ha agio di conoscere i piaceri della carne con entrambe e l’antico gusto alla conversazione e alle dolcezze sentimentali con la prima delle due mogli.
La moglie di mio marito
RSI Cultura 14.05.2018, 10:12
Non solo, concordati una volta per tutte i ruoli e i compiti all’interno della famiglia – la giovane lavora quasi tutto il giorno nei campi, l’anziana si occupa dell’appartamento e dei bisogni dell’uomo – non è raro che quando il marito redarguisce o sgrida severamente la seconda moglie, la prima corra in soccorso della ragazza e ammonisca l’uomo di trattarla bene.
Situazione surreale? Certamente, almeno nella misura in cui, secondo la nostra sensibilità, la promiscuità sessuale e il duplice servizio reso all’uomo dalle due donne appare quanto meno umiliante o a suo modo persecutorio. Ma come ci insegna Claude Lévi-Strauss, ogni cultura – soprattutto le culture cosiddette «barbare» o «primitive» – ha i propri contravveleni e insospettabili equilibri. È lecito dunque, e forse doveroso, rigettare questa pratica più che discutibile. Ma non è lecito, e tantomeno doveroso, cercare di interpretarla solo attraverso le nostre categorie. Di fronte a questa realtà i nostri parametri di valutazione saltano come dovettero saltare quelli dell’uomo civilizzato al cospetto degli indigeni d’Amazzonia.
Sia dunque considerato pure incivile o premoderno l’istituto della poligamia. Ma sia anche di monito, l’esempio che abbiamo qui portato, alla nostra presunzione che tutto debba necessariamente essere ricondotto alle istanze della modernità. Talvolta essere primitivi ha i suoi indiscutibili vantaggi e la sua coerenza. E se chi vive all’interno di tale primitività ne sa beneficiare senza che nessuno – né lui né la giovane né l’anziana – ne tragga ragione di disdoro o patimento, che sia la loro bizzarra concordia un’esortazione a osservarla senza pregiudizio e ad accompagnarla, perché no, con la nostra perplessa benedizione. Ad una condizione, però: che questa pratica sia una libera scelta e che possa essere applicata anche inversamente, garantendo anche alla donna il diritto di avere rapporti coniugali con più uomini (fino a quattro, ovviamente, non di più!).