Architettura

Un acquisto trendy? Il bunker antiatomico

Molti architetti nel progettare una casa aggiungono già di default un rifugio sotterraneo contro guerre, pandemie ed effetti dei cambiamenti climatici

  • Oggi, 08:24
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Di: Romano Giuffrida 

«A un certo punto, l’uomo, insoddisfatto dei rifugi offerti dalla natura, è diventato architetto». A questa affermazione di qualche anno fa dell’architetto Renzo Piano (1937), oggi potremmo aggiungere un seguito: dopo aver fatto proprio il concetto di casa intesa come riparo e sicurezza, ossia quel concetto che parallelamente ha accompagnato l’evoluzione dell’uomo e della società, nella contemporaneità l’architetto si trova sempre più a fare i conti con la fragilità della casa stessa di fronte alle insidie del presente e a immaginare altri rifugi più sicuri.  A osservare i trend di produzione, è indiscutibile il fatto che il mercato dei bunker abbia avuto nel corso degli ultimi decenni, e soprattutto negli ultimi anni, un incremento più che considerevole. Questo era un mercato attivo sino dagli anni Cinquanta, cioè dai tempi della Guerra fredda: non a caso la Svizzera sancì già dal 1962 che ogni abitante dovesse avere un rifugio protetto sotterraneo.

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Rifugi antiatomici

RSI Cultura 01.12.1981, 09:00

Poi, dall’attacco alle Torri del World Trade Center nel 2001, la richiesta di rifugi antiatomici è cresciuta ininterrottamente, per diventare un vero e proprio business “a molti zeri” a partire dall’approfondirsi della crisi tra Ucraina e Russia nel 2022.

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Ci vuole stile anche in un bunker… o almeno, è ciò che pensano molti miliardari d’oltre Oceano, ma non solo.

Architetti come lo svedese Albert France-Lanord (1974) o studi di architettura come Abiboo di Madrid (che, tra l’altro, ha progettato Nüwa, una città autosufficiente e sostenibile su Marte, capace di ospitare fino a 250.000 abitanti), hanno realizzato bunker di lusso, alcuni del valore di 10 milioni di dollari, comprensivi di idromassaggio, cinema, sale da biliardo, parcheggi e di quanto l’immaginazione umana ritiene necessario per sopravvivere “serenamente” alla fine della vita sulla Terra.

Il desiderio del rifugio sotterraneo ha trovato un’ulteriore spinta alla crescita nella crisi pandemica del 2020 da Covid-19 e, ultimamente, dall’inarrestabile peggioramento delle condizioni di vita sul pianeta determinate dal riscaldamento globale.

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Le costruzioni in legno e pietra vengono considerate le migliori dal punto di vista ambientale

Come recita il proverbio però: «è inutile chiudere la stalla quando i buoi sono scappati». Fuor di metafora, significa che il bunker è un’ultima ratio, la quale, almeno in parte, avrebbe potuto essere evitata se cinquanta, sessant’anni fa le istituzioni avessero dato ascolto all’annuncio del medio evo prossimo venturo profetizzato nel 1971 dall’ingegnere e matematico Roberto Vacca (1927). Se ciò fosse stato fatto (almeno per quanto riguarda gli effetti dell’inquinamento terrestre), e se quindi, ad esempio, fosse stato dato ascolto già dagli anni Settanta del secolo scorso ai progettisti tedeschi, come Anton Schneider, che proponevano la bioedilizia per realizzare un’architettura “sostenibile” compatibile con l’uomo e l’ambiente naturale e che, conseguentemente, avesse il minor impatto ambientale, oggi forse non ci troveremmo in questa situazione. L’attenzione all’uso di materiali di costruzione rispondenti a requisiti di bioecologicità (secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, l’edilizia è responsabile per il 39% dell’inquinamento globale con i rifiuti edili); l’attenzione al consumo energetico degli edifici (la cui dispersione termica attualmente in Europa contribuisce al consumo di un terzo dell’energia totale impiegata), all’uso di fonti di energia rinnovabili, alla gestione delle acque: tutto ciò, se attuato rigorosamente nel passato, avrebbe potuto contribuire a attenuare di molto la drammatica situazione che vive l’ecosistema.

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Arch. Stefano Boeri – Bosco verticale, Milano

Ovviamente nel mondo non sono pochi gli architetti che si sono mossi, almeno simbolicamente, in questa direzione. Possiamo citare Stefano Boeri (1956) e il suo Bosco Verticale a Milano che rappresenta la sublimazione del sogno ecoarchitettonico del viennese Undertwasser (1928-2000): 900 alberi, 5mila arbusti e 11mila piante da fiore perenni, per l’equivalente di due ettari di bosco, che vivono sulle facciate dei due edifici di 28 e 26 piani. Un altro esempio è quello della Fiorita Passive House di Cesena dell’architetto Stefano Pieraccini (1976), un edificio così efficiente che non solo produce più energia di quella che consuma, ma non produce emissioni in atmosfera e non è collegato con la rete del gas.

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Arch. Renzo Piano – Quartiere Le Albere, Trento (particolare)

Non si può poi non citare il quartiere Le Albere di Trento (116.000 metri quadrati complessivi, 5 ettari di parco), progettato da Renzo Piano, dove è attiva una centrale unica di trigenerazione (un sistema capace di produrre energia elettrica e nel contempo di utilizzare l’energia termica del sottosuolo), che, pur consumando solo un terzo di quanto sarebbe necessario per gli edifici tradizionali, è in grado di garantire ciò che è necessario dal punto di vista energetico alla vita del quartiere. 

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Arch. Bill Dunster – Quartiere di Bedzed (particolare)

Si potrebbero poi citare, tra gli altri, il complesso di Bedzed, nei sobborghi di Londra, opera dell’architetto Bill Dunster (1964) con i suoi 777 metri quadrati di pannelli solari, oppure la Casa solare passiva di Edmonton in Canada dell’architetto Shafraaz Kaba: un edificio senza caldaia, che si riscalda con l’energia solare passiva grazie a pannelli solari, alle finestre rivolte a Sud e a pavimenti in cemento che restituiscono il calore proveniente da terra.

Belli e encomiabili progetti di architetti altrettanto lodevoli: le istituzioni però dov’erano in questi decenni di degrado ambientale, di cementificazione irrazionale, di stravolgimento dell’ecosistema? Non vogliamo essere cinici, ma considerando l’attuale situazione planetaria, c’è il rischio che i belli e encomiabili progetti, loro malgrado e soprattutto malgrado l’impegno degli architetti che li hanno immaginati, assomiglino ai famosi “vasi di fiori” che qualcuno voleva mettere sui tavoli del Titanic che affondava… Speriamo veramente che non sia così.

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Città sostenibili: dal bosco verticale agli orti urbani

Laser 16.12.2015, 10:00

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