Fu un evento storico di tale portata da aver dato origine a un’espressione ancora oggi diffusa: “Fare un Quarantotto”. Questo modo di dire richiama appunto il 1848, anno in cui l’Europa fu scossa da una serie di rivolte e di insurrezioni anche violentissime che misero in discussione l’ordine costituito. In questo contesto, in Italia si innescò una decisa lotta che durò cinque giorni: le Cinque giornate di Milano, una ribellione ad opera dei cittadini del capoluogo lombardo - la cui guida politica fu affidata anche a Carlo Cattaneo, figura chiave del XIX secolo - contro le truppe austriache capitanate dal maresciallo Radetzky. Milano dunque, dal 18 al 22 marzo 1848 insorse in una furiosa battaglia urbana che, inizialmente, raggiunse il suo scopo cacciando gli austriaci dalla città meneghina. E se da un lato il democratico Cattaneo voleva salvaguardare il carattere popolare della rivolta, d’altro canto il podestà Gabrio Casati, figura di riferimento dell’ala moderata, alla fine decise di fare appello al casato sabaudo, e in particolare al Re del Regno di Sardegna e sovrano degli Stati sabaudi, Carlo Alberto, il quale dopo la vittoria di Milano mosse le sue truppe piemontesi contro l’Austria, dando avvio ufficialmente alla prima delle tre guerre di indipendenza italiane. L’epilogo complessivo dell’operazione fu tuttavia fallimentare e, solo pochi mesi più tardi, Carlo Alberto si vide costretto a firmare la capitolazione, che permise agli austriaci di occupare nuovamente Milano.
Per quanto riguarda la storia europea, l’anno 1848 fu appunto caratterizzato da moti rivoluzionari che infiammarono non solo Milano, ma l’intero continente: alle richieste di democrazia e repubblica avanzate dalla borghesia emergente, si unirono le istanze nazionaliste e indipendentiste di numerosi popoli che ancora erano assoggettati ai grandi imperi. Francia, Ungheria, Boemia, Austria e Croazia videro innescarsi conflitti intensissimi che toccavano ogni ambito della società, da quello istituzionale a quello economico, dal punto di vista sociale a quello politico. Fu la cosiddetta Primavera dei popoli: rivoluzioni che tra il gennaio del 1848 e la primavera del 1849 si tradussero in una marcata ribellione popolare contro i regimi monocratici di tipo dittatoriale o fortemente autoritario.
In realtà, si trattò della terza ondata di furiose rivolte scoppiate in Europa nell’Ottocento, la prima delle quali ebbe inizio circa un trentennio prima (1820-21) quando alcune nazioni si scontrarono con i rispettivi sovrani regnanti, che osteggiavano con forza la diffusione degli ideali nazionalisti. In quell’occasione, alla testa dei dissidenti si imposero i patrioti di estrazione borghese legati a società segrete (come la Massoneria e la Carboneria) piuttosto che alle masse popolari, come poi accadde inseguito. Furono moti di stampo liberale che si innescarono soprattutto nei paesi più retrogradi d’Europa e che poi, dall’ovest della Spagna, si mossero verso est raggiungendo infine tutto il continente. Le modalità non furono tuttavia organizzate adeguatamente e, spesso, le rivolte furono isolate e indipendenti, tanto che tutti i tentativi (ad eccezione della Grecia) andarono infine falliti. Bisognò attendere circa una decina di anni per veder sorgere nuovi moti di stampo liberale: da Parigi all’Italia, gli scontri si imposero nelle piazze e, questa volta, gli artefici furono dei manifestanti popolari che tentarono, seppur invano, di dar vita a barricate e ottenere maggior libertà e giustizia. Trascorsero ancora quasi vent’anni prima che il forte, per non dire ormai estremo, dissenso civico e politico tornasse ad imporsi nuovamente, e per la prima volta nella storia, alla guida questa volta ci furono gli operai e in generale i lavoratori più poveri delle città. Nacquero così i primi movimenti socialisti.
I moti rivoluzionari 1820-1848
Laser 07.05.2021, 09:00
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Come scrisse Fernando Manzotti sul giornale Corriere della sera «Il periodo si apre con la rivoluzione americana, prosegue con le rivoluzioni di Ginevra (1782), dei Paesi Bassi (1783-87), del Belgio (1787-90), della Polonia (1787-91), appare profondamente dominato dalla rivoluzione francese che non a caso viene definita “grande”: riprende con la fiammata rivoluzionaria del 1848, la “primavera dei popoli”, che in Europa risparmia soltanto la Russia» (Supplemento “Corriere letterario”, p.13, 24 agosto 1969). Un termine che – Ricorda Luigi Matt - in Italia fu coniato il primo giorno di marzo dallo scrittore mazziniano Filippo de Boni, un ”grido agl’italiani” come si legge nella sua locuzione, esemplificativa della letteratura del Risorgimento: «Li 22 Febbraio spuntava dentro Parigi la primavera dei popoli, la redenzione evangelica si compieva tre giorni dopo, e l’umanità levavasi tutta fuor dalla sua sepoltura, proclamando il codice dell’avvenire”» (citazione tratta da Luigi Matt, È un quarantotto (e altre quarantottate) - Per modo di dire… Un anno di farsi fatte, in Lingua italiana, 27 dicembre 2021, Treccani.it).

Acquerello raffigurante una delle barricate erette a Milano durante le Cinque giornate, Felice Donghi (1848).
A Milano, capitale del Lombardo-Veneto che da più di un secolo si trovava sotto la dominazione austriaca, il preludio dei dissidi si ritrova nella decisione del re Ferdinando II di concedere la Costituzione quale conseguenza della rivolta di Palermo il 12 gennaio, cui seguirono ai primi di febbraio la promulgazione dello Statuto Albertino e la concessione di costituzioni nel Granducato di Toscana e nello Stato Pontificio, favorendo di fatto il peggioramento delle tensioni già in essere a Milano. Le prime vere scintille si accesero tra il 16 e il 17 marzo 1848, con la diffusione della notizia dei moti scoppiati nelle nazioni circostanti, e soprattutto con la notizia delle dimissioni rassegnate dal Gran Cancelliere di Vienna Klemens von Metternich a seguito dell’insurrezione popolare della stessa capitale dell’Impero austrico. Un fatto che spinse i rivoluzionari milanesi a organizzare, per il giorno successivo, una grande manifestazione popolare. Il Comitato rivoluzionario di Cesare Correnti iniziò dunque a diffondere un proclama per invitare il popolo ad unirsi, con l’obiettivo di ottenere riforme liberali immediate, ma – come da intenzione di Carlo Cattaneo - lo scopo doveva essere raggiunto pacificamente, per scongiurare un massacro. Tuttavia, quando il 18 marzo Cattaneo dalla sua finestra udì grida e spari che provenivano dalle persone dietro le barricate, capì immediatamente che era invece scoppiata una rivolta popolare violenta. Decise così di mettersi alla guida delle operazioni e lo fece unendosi all’imprenditore Enrico Cernuschi, il patriota Luciano Manara e il medico Agostino Bertani, in una manifestazione pacifica davanti al Palazzo del Broletto (il palazzo del governatore, nell’odierna piazza Mercanti). L’obiettivo era chiaro: ottenere l’abrogazione delle leggi più repressive e, in generale, raggiungere specifici privilegi con lo scopo di assicurare una maggiore indipendenza a Milano e a tutta la Lombardia.

Barricata eretta per bloccare una strada e i rivoltosi in armi a suo presidio (stampa d'epoca)
Nonostante le buone intenzioni, tuttavia, furono cinque giornate di combattimenti spesso molto violenti, nei quali la partecipazione compatta dei Milanesi fu decisiva e anzi, l’insurrezione di tutta la popolazione fu il fattore principale della vittoria contro le truppe asburgiche. In effetti, quando il 20 marzo il Consiglio di guerra milanese guidato da Cattaneo respinse la proposta di armistizio degli austriaci, venne costituito un governo provvisorio e, il giorno successivo, tutte le caserme e le posizioni tenute ancora dagli austriaci furono conquistate, cosicché la sera della quinta giornata il feldmaresciallo Radetzky e i suoi uomini iniziarono la ritirata. Già all’alba del 23 marzo - mentre si cominciavano a sgomberare le strade dai resti di oltre 1700 barricate e si contavano le migliaia di feriti e i 335 caduti - i primi volontari provenienti da Genova e Torino furono accolti. Poco dopo Carlo Alberto di Savoia emanò un dispaccio annunciante il suo appoggio ai popoli della Lombardia e del Veneto, avviandosi appunto verso la Prima guerra di indipendenza, la cui disfatta vide tornare nuovamente gli Asburgo a Milano. Un desiderio di libertà che durò dunque il tempo pochi mesi e che, al contrario, fu più utile alle élite conservatrici che, attraverso il nazionalismo, unificarono Italia e Germania sotto il controllo monarchico.

Ritratto giovanile di Carlo Cattaneo, xilografia, ridotta, rielaborata
Milanese d’origine, luganese d’adozione, Carlo Cattaneo (nato a Milano nel 1801) fu storico, economista, patriota e uomo politico, repubblicano e federalista. Laureatosi in diritto a Pavia nel 1824, collaborò poi con gli “Annali universali di statistica” trattando una vasta gamma di tematiche perché, nonostante la laurea ottenuta brillantemente, decise di non voler mai esercitare la professione, preferendo ad esempio l’insegnamento alle liti dei tribunali, anche quando sottopagato o in condizioni disagiate. Un chiaro esempio della sua indole pacifista, che mostrò poi infatti anche durante la rivolta milanese; sosteneva a gran voce le richieste per una maggiore autonomia dalla corte di Vienna attraverso una politica non violenta, ma con un punto di vista marcatamente diverso da quello della maggior parte dei suoi coetanei (e anche dei loro ispiratori, come Giuseppe Mazzini). In effetti, Carlo non vedeva l’indipendenza come un traguardo, bensì come una conseguenza del momento in cui il popolo avesse preso coscienza di esserlo. Era necessario elevare il livello culturale, sociale e morale degli italiani, prima che potesse nascere un’Italia libera. Non a caso, sul modello elvetico, Cattaneo era un convinto sostenitore di un sistema politico basato su una confederazione di Stati italiani, definendo il federalismo come la “teoria della libertà” in grado di coniugare indipendenza e pace, libertà e unità. A questo proposito affermò che «Avremo pace vera, quando avremo gli Stati Uniti d’Europa» (Dell’insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra: Memorie, Carlo Cattaneo, Lugano, 1849).
Quando apprese che il governo di Vienna, per imposizione popolare, concesse la libertà di stampa, il giorno successivo la notizia iniziò subito a lavorare alla creazione di un giornale, significativamente intitolato “Il Cisalpino”, nel quale avrebbe sostenuto la trasformazione dell’Austria in uno Stato federale, con istituzioni liberali. Un parere che tuttavia non vide mai le stampe, a causa dello scoppio del sollevamento popolare a Milano. Quando i suoi amici lo sollecitarono ad unirsi a loro nella rivolta, Cattaneo sulle prime tentennò, ma alla fine gli avvenimenti lo inglobarono e, in particolare, il comportamento inaspettato della gioventù sulle barricate, il loro entusiasmo, la loro determinazione, mutarono la sua idea: l’insurrezione popolare non solamente riusciva a resistere, ma soprattutto mostrava buone speranze di riuscita. Nacque in Carlo Cattaneo la consapevolezza che la prima necessità, ancora mancante, per sperare in una vittoria era quella di una guida unitaria all’insurrezione; si trasferì allora nel quartier generale del Comitato Centrale a Casa Taverna, accolto sin dal principio come un leader e dunque posto a capo del Consiglio di guerra.

3. Carlo Cattaneo e le cinque giornate di Milano
Blu come un'arancia 09.03.2011, 02:00
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Dopo l’esito positivo delle Cinque giornate, a Cattaneo fu chiesto di candidarsi come presidente del nuovo Governo Provvisorio, ma egli rifiutò, e al suo posto si insinuò il suo antagonista Gabrio Casati. Fedele ai suoi ideali rassegnò immediatamente le dimissioni e, quando il 4 agosto si svolse la battaglia di Milano e il 6 agosto il maresciallo Radetsky rientrò vittorioso a Milano, Carlo si esiliò dapprima a Parigi e poi a Lugano. Un luogo, quest’ultimo, che gli offrì importanti opportunità sia in ambito economico, sia politico, con un impegno profuso che venne poi riconosciuto dalle autorità ticinesi conferendogli la cittadinanza onoraria nel 1959. A Lugano-Castagnola strinse una solida amicizia con Stefano Franscini e fondò il Liceo di Lugano 1, ma animò anche vivaci dibattiti di carattere politico e culturale in tutto il Cantone, senza dimenticare la sua dedizione nel corso degli anni nel proporsi quale punto di riferimento per tutti gli esiliati italiani.
Malato di cuore e di nervi, a soli 68 anni Carlo Cattaneo morì, il 6 febbraio 1869. Sepolto nel piccolo cimitero di Castagnola, solo tre mesi più tardi la città di Milano ne rivendicò la salma, e al Canton Ticino non rimase che la lapide su cui si legge:
“Qui ove da Italia in lutto
invidiate e reclamate
riposano
le sacre ossa
di Carlo Cattaneo
Nella tempa ticinese
Castagnola
Prodiga al grande uomo
Di repubblicana
Ospitalità
La moglie desolata
Questo monumento
Pose”.
Carlo Cattaneo “rinasce” a 150 anni dalla sua scomparsa
Millevoci 20.03.2019, 11:05
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