Storia

Il Medioevo: percezione e realtà storica

Costruire l’età di mezzo, il senso e la complessità storica, dei mille anni più affascinanti della storia umana. Con il medievista Marco Ferrero, presidente del Centro di studi medievali Ponzio di Cluny di Vicenza

  • 27 agosto, 09:27
  • 27 agosto, 14:52
Medioevo
  • Imago.
Di: Red/Giovani Conti
Noi abbiamo una percezione del mondo medievale filtrata attraverso una serie di elementi che distorcono la realtà. Pensiamo al cinema, pensiamo alla letteratura. Poi, nel corso di questi ultimi anni, non pochi sono stati i film che hanno rivalutato questo periodo così lungo e così complesso, ma spesso ne hanno fornito un’immagine assolutamente fuorviante. 

Marco Ferrero

Noi, uomini e donne del terzo millennio abbiamo una nostra idea del Medioevo, ma quanto questa idea corrisponde a verità storica?
Troppo spesso palesiamo una deformazione prospettica dell’età di mezzo: un Medioevo del senso comune cui si contrappone il Medioevo degli storici, che discute di articolazione dei poteri e di intersezione delle gerarchie di signorie rurali e di egemonie urbane, fin dalle origini storiche dei mille anni dell’età più affascinante della storia umana.
«Ci troviamo infatti talvolta semplicisticamente a pensare alla fine dell’impero di Roma come al crollo subitaneo di una città, che era al comando di un impero di straordinarie dimensioni e la sua sostanziale traslazione verso l’Oriente, verso Costantinopoli, poi Bisanzio» dice Marco Ferrero intervistato da Giovanni Conti per Quilisma.
Ma il passaggio, che avviene tra il secondo e il terzo secolo dopo Cristo, è complesso. Un processo che parte quando i confini che Roma aveva costruito soprattutto sul Reno, cominciano a cedere.
«È un processo lento – dice Marco Ferrero – non è così immediato. Le popolazioni che noi siamo soliti chiamare barbare, ma che in linea di massima sono di origine germanica e che non sono poche, come noi le conosciamo, ma sono una serie di tribù aggregate, dai nomi per lo più a volte anche impronunciabili, iniziano poco per volta a penetrare nel tessuto romano. Lo fanno attraverso momenti bellici importanti, anche se non possiamo mai parlare veramente di combattimenti, di battaglie allo stato puro, a parte eccezioni rarissime, come per esempio la grande disfatta di Teutoburgo. Ma lo fanno anche attraverso accordi con il mondo romano, stanziamenti che poco per volta avvengono nel contesto del territorio imperiale».

Un processo che fa sì che queste popolazioni – poco per volta, in almeno un paio di secoli – iniziano ad entrare in una sorta di simbiosi con il mondo romano: iniziano a stanziarsi e a convivere. E, sottolinea il medievista Marco Ferrero, si assiste ad un incontro che mette in crisi la romanità: «se da un punto di vista militare appare talvolta di scontro evidente, dall’altro invece assistiamo ad una sorta di assimilazione, ovvero questi due poli, del germanesimo e della romanità, una romanità che peraltro evidentemente comincia ad essere in crisi. Diventano sempre più vicini, non si fondono ancora, ma creano le premesse per un successivo connubio tra queste due componenti che porterà ad un germe nuovo».

Introduzione

Quilisma 30.06.2024, 10:00

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Poi, nel contesto europeo, nei primi decenni del V secolo, si assiste ad uno spostamento dei centri di potere. Roma perde gradualmente la sua posizione centrale. Il sistema del potere centrale si sposta verso i territori della Gallia.
«Un processo costruito da un lato, ma indotto dall’altro – ribadisce Marco Ferrero – Noi sappiamo bene come, a partire dai primissimi decenni del V secolo, le popolazioni esterne al limes romano cominciano a penetrare in maniera più importante. Abbiamo i casi delle devastazioni che Roma subisce. Quindi è un processo che in qualche modo accompagna questa sorta di “invasione dall’esterno”, spostando il centro del potere dell’impero, che ancora resiste, verso nord. Soprattutto verso territori di quella che oggi chiamiamo la Francia e che sono della Gallia in particolare quella meridionale. Territori che avevano già sperimentato una sorta di alleanza tra le popolazioni autoctone di origine germanica». Accade così che la classe dirigente di Roma, la parte più vitale della nobiltà romana e in primo luogo i Franchi, poco per volta, si spostano «laddove trovano le condizioni più propizie per poter sopravvivere».

Ma qual è il senso del medioevo? In che cosa gli siamo debitori? Perché studiarlo o insegnarlo? In un breve e densissimo scritto pubblicato dall’editore Donzelli, uno storico insigne come Giuseppe Sergi (L’idea di Medioevo - Fra storia e senso comune, Donzelli, 2005) si cimenta con le domande più radicali. Il punto di partenza è il “luogo comune medioevo”, quella deformazione prospettica che ci porta a leggere tutta una lunga fase storica come un altrove o come una premessa. Nell’altrove negativo ci sono povertà, fame, pestilenze, disordine politico, soperchierie dei latifondisti sui contadini, superstizioni del popolo e corruzione del clero. Nell’altrove positivo ci sono tornei e vita di corte, elfi e fate, cavalieri fedeli e principi magnanimi. Ma è altrettanto discutibile l’idea del medioevo come premessa dei secoli successivi: del capitalismo, dello Stato moderno, della borghesia. A questo medioevo del senso comune si contrappone il medioevo degli storici, che discute di articolazione dei poteri e di intersezione delle gerarchie, di signorie rurali e di egemonie urbane.

«Il Medioevo è stato assimilato di fatto, dal punto di vista terminologico, al feudalesimo. Tant’è che oggi si parla di feudalesimo o di medioevo in maniera indifferenziata, e questo è indubbiamente un grave errore» e continua Ferrero: «il problema, se di problema possiamo parlare – ma almeno dal punto di vista storiografico, certamente sì – è il fatto che un periodo sostanzialmente non così lungo del mondo medievale in cui effettivamente c’è stato uno sviluppo di rapporti feudali, di fatto è stato esteso a tutto il periodo medievale, ovvero nel momento in cui con la Rivoluzione francese vengono meno e vengono abbattuti i residui di quello che effettivamente erano rapporti di natura feudale. I rapporti più scritti che reali, in quanto non esistevano di fatto più nel Settecento. Ebbene, ciò che è negativo nel momento in cui scoppia la Rivoluzione francese è tutto il Medioevo. E questo è un grave errore, perché il rapporto feudale è un rapporto estremamente preciso che non trova applicazione lungo tutto il periodo medievale».

Il senso del Medioevo

Quilisma 26.11.2023, 10:00

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