Storia

L’eccidio di Fondotoce

Ottanta anni fa la rappresaglia nella quale furono fucilate 43 persone e ne morirono 42. Tra loro un’unica donna, Cleonice Tomassetti

  • 20 giugno, 11:36
l'eccidio di Fondotoce
Di: Lisa Fornara

«Sono questi i liberatori d’Italia oppure sono i banditi?»  

Una domanda retorica quella posta sul cartellone che i partigiani catturati nei rastrellamenti della Val Grande, in provincia di Verbano-Cusio-Ossola, sono costretti a portare mentre sfilano sul lungolago di Intra, il 20 giugno 1944.

Colpisce l’evidente scopo intimidatorio della fotografia, scattata dagli occupanti tedeschi per combattere la Resistenza partigiana e colpisce anche la presenza di un’unica donna, costretta in prima fila, come a sottolineare che la rappresaglia nazifascista non risparmia proprio nessuno. Dopo Intra, la stessa scena si ripete a Pallanza, poi a Suna, e infine a Fondotoce, dove 43 delle 46 persone costrette a sfilare nel macabro corteo sono fucilate dai nazisti.

La donna nella fotografia è Cleonice Tomassetti, ha 32 anni ed è arrivata pochi giorni prima da Milano. A Intra o a Verbania non la conosce nessuno. Nella fotografia è ben vestita, perché le mogli, le madri e le sorelle degli altri prigionieri le hanno procurato degli abiti puliti, così da restituirle un po’ di dignità in un momento tanto tragico. Cleonice tiene in mano una borsa, che sembra un fagotto e che forse contiene la sua biancheria; se è così è certamente sporca di sangue a causa delle violenze subite, ma è anche il segnale che né lei né gli altri sanno esattamente cosa stia per succedere loro.

Per molto tempo l’identità di questa donna è stata oggetto di supposizioni errate, già nello stesso cognome, Cleonice Tommasetti invece di Tomassetti. Descritta come una maestra, staffetta, moglie o compagna di un partigiano, incinta di quattro mesi, la sua biografia e il suo vero nome sono stati riscoperti solo nel 1981, grazie agli studi di Nino Chiovini, ex partigiano, storico e scrittore. Attraverso la ricerca di testimonianze dirette, è stato possibile ricostruire la vita dell’unica donna vittima dell’eccidio di Fondotoce che, a dire la verità non era un’insegnante e nemmeno una staffetta.

Nata nel 1911 a Petrella Salto, un comune in provincia di Rieti nel Lazio, Cleonice Tomassetti è la quinta di sei figli e cresce in una povera famiglia contadina. Orfana di madre, viene abusata dal padre e a 16 anni rimane incinta. Fuggita da casa, si rifugia a Roma presso una sorella maggiore. Il bambino che aspetta nasce prematuro e muore dopo pochi giorni.

Cleonice cerca impiego nella capitale e va a servizio da famiglie benestanti, ma appena i suoi datori di lavoro scoprono che ha avuto un bambino senza essere sposata, provano ad approfittare di lei.

A 22 anni Cleonice fugge un’altra volta e va a Milano, dove lavora come commessa e cameriera. È lì che conosce Mario Nobili, un assicuratore antifascista separato dalla moglie. La relazione tra i due permette a «Nice» - così la chiamano al Nord - di entrare in contatto con persone che sono ostili al regime di Mussolini.

Purtroppo per lei, all’inizio del 1944, il suo compagno si ammala e muore di meningite a 36 anni. Rimasta sola, Nice svolge occasionalmente qualche lavoretto presso un amico di Mario Nobili, il sarto antifascista Eugenio Dalle Crode.

Un giorno del mese di giugno, mentre Nice è in sartoria, entra nel negozio un giovane cliente di nome Sergio Ciribi che racconta di aver ricevuto la chiamata alle armi ma, non volendo servire la Repubblica di Salò, ha deciso di unirsi alla Resistenza partigiana nella Valdossola. Nice, che è presente in quel momento, senza nessuna esitazione decide di andare con quel ragazzo in montagna e, nonostante sia molto pericoloso, nessuno riesce a dissuaderla.

Così, un paio di giorni dopo, Nice fugge ancora una volta, ma questa è l’ultima. Insieme a due ragazzi, Sergio Ciribi e Giorgio Guerreschi, parte per la Val Grande senza sapere che, proprio in quella zona, è appena iniziato un massiccio rastrellamento nazista allo scopo di annientare la Resistenza.

Dopo essere sbarcati a Intra, i tre intraprendono una lunga camminata nei sentieri impervi delle montagne. Nice e i due ragazzi non trovano i gruppi partigiani, ma una baita dove passare la notte. Il risveglio è tutt’altro che lieto: il rumore degli spari fa subito capire che stanno arrivando le truppe tedesche. Non sapendo che cosa fare, decidono di dire la verità: sono venuti in montagna per unirsi ai partigiani, ma non li hanno trovati.

Nel disperato tentativo di salvare i due giovani, Nice cerca di addossarsi tutte le colpe della loro presenza in valle. Anche se non mentono, i nazisti non credono alle loro parole e, dopo aver provato ad estorcere con la violenza informazioni che i tre non possono sapere, li catturano e li portano in pianura.

Rinchiusi insieme ad altri partigiani in una villa a Intra, sede delle SS, Cleonice Tomassetti e Sergio Ciribi saranno tra i martiri di Fondotoce. Nell’efferato eccidio i nazisti fucilano 43 persone, ma incredibilmente uno di loro sopravvive: è Carlo Suzzi, di 18 anni, che dopo l’eccidio si farà chiamare per sempre il «Quarantatré». È lui che, in un’intervista facilmente reperibile online, descrive l’atteggiamento di Nice prima dell’esecuzione: «Una donna meravigliosa, una donna che ci ha dato un coraggio su tutta la strada, una cosa che fa rabbrividire. Mentre noi eravamo piuttosto terrorizzati, lei ci rincuorava. Una cosa da non credere! Infatti, quando lei ha capito che era giunto il nostro momento ci ha detto: “Ragazzi, facciamo vedere a questi sgherri che sappiamo morire da Italiani!”»

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Alphaville 26.01.2024, 12:35

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