Storia

Parole proibite: l’autarchia linguistica durante il Fascismo

La lingua può davvero restare immune dalle fluttuazioni della politica?

  • 19 marzo, 08:27
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Di: Sofia Bertoli Morisoli 

La storia ci insegna di no. Durante il ventennio fascista, sotto la guida di Benito Mussolini, si tentò (invano, come vedremo) di modificare anche la lingua italiana. L’idea di fondo era chiara e coerente con l’ideologia del regime: per preservare la cultura nazionale e promuovere un ideale di italiano puro e fiero, bisognava eliminare ogni traccia di influssi stranieri. Il principio dell’autarchia, applicato solitamente all’economia, venne esteso anche alla politica linguistica: l’italiano doveva essere autosufficiente, privo di contaminazioni esterne.

Nel mirino non finirono solo i forestierismi, ma anche i dialetti, considerati una minaccia per l’identità nazionale e per l’uniformità linguistica. Il regime ambiva a un italiano omogeneo, capace di rafforzare il senso di appartenenza e cementare l’unità del Paese. Tuttavia, il progetto si rivelò tutt’altro che semplice. La lingua non è solo una questione di norme imposte dall’alto: si apprende in famiglia, nelle conversazioni quotidiane, nel mondo del lavoro. Non basta modificare i programmi scolastici per cambiarla, perché le abitudini linguistiche si radicano nel tempo e rispondono a dinamiche più profonde di quelle dettate dalla politica.

Mussolini, però, non si limitò a bandire parole straniere: portò avanti un’intensa propaganda per diffondere questa uniformità linguistica, con particolare attenzione alle regioni dove coesistevano più lingue, come il Trentino-Alto Adige. Già nel 1923 venne avviata una politica di italianizzazione forzata nelle aree alloglotte, dove si parlavano lingue diverse dall’italiano. Un’operazione drastica, che si inseriva in un contesto in cui, nei primi decenni del Novecento, la maggior parte degli italiani comunicava principalmente in dialetto.

Parole proibite e sostituzioni bizzarre

Il regime intervenne con decisione, imponendo la sostituzione di qualsiasi termine straniero con un’alternativa italiana. Alcune proposte, però, risultarono così improbabili da sembrare grottesche.

Ma voi riuscite a immaginare quali nomi possano essere stati vietati durante questa politica? Ecco alcuni esempi di forestierismi severamente banditi, con il corrispettivo italiano suggerito:

Dal francese, brioche diventò brioscia, croissant si trasformò in cornetto, champagne in sciampagna, dessert in findipasto o peralzarsi, buffet in rinfresco, garage in rimessa, bidet in bidè e buvette in mescita.

Se invece pensiamo ai forestierismi di natura inglese, possiamo immaginare di entrare in un bar, anzi in un quisibeve, per ordinare un pantosto (un semplice toast) oppure un traidue (alternativa proposta per sandwich, poi sostituito da tramezzino, termine coniato da D’Annunzio), il tutto accompagnato da una fresca bevanda arlecchina (che sarebbe un cocktail). Nello sport (altra parola bandita e quindi sostituita dal termine diporto e poi da sportivo) si propose di italianizzare goal con rete, hockey con ochei o disco su ghiaccio, tennis con pallacorda, basket con pallacanestro e rugby con palla ovale. Il film invece venne trasformato in pellicola, picnic in pranzo al sole e smoking in giacchetta da sera.

Nemmeno i nomi propri vennero risparmiati: Louis Armstrong fu italianizzato nel bislacco Luigi Braccioforte, Mary Stuart diventò Maria Stuarda e Churchill venne reso con Ciorcil. Perfino Buenos Aires divenne Buonaria e Washington un improbabile Vosintone.

In alcuni casi, si limitavano a italianizzare la grafia, trasformando ouverture in overtura o alcool in alcole; altre volte, invece, veniva proposto un termine completamente nuovo, come amoretto per flirt.

Un’operazione fallimentare, ma con qualche eredità

Il fascismo cercò anche di intervenire sulla grammatica: nel tentativo di rendere la lingua più “virile”, impose l’uso del Voi al posto del Lei come forma di cortesia, poiché quest’ultima era considerata troppo femminile o addirittura servile.

Molti di questi provvedimenti risultarono inefficaci e, agli occhi moderni, appaiono piuttosto grotteschi. Tuttavia, alcuni dei termini coniati in quegli anni sono ancora in uso. Ad esempio, tramezzino e rimessa sono oggi parole comuni, così come l’abitudine di tradurre i nomi propri di personaggi storici stranieri. Infatti, quasi tutti quando parliamo del sovrano d’Inghilterra diciamo Re Carlo III e non King Charles III.

L’italiano, fortunatamente, non si lasciò piegare completamente alle imposizioni del regime. La lingua, dopotutto, è un organismo vivo, che si evolve secondo le necessità e le abitudini delle persone, più che per decreto politico. Resta comunque uno spaccato di storia a noi molto vicina e che, a poco più di cent’anni di distanza, vale la pena raccontare.

11:58

Paolo Ostinelli (5./5)

In altre parole 26.07.2024, 08:18

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