Oggi, sempre più chef e ristoratori svolgono un lavoro di ricerca maggiore sull’origine degli ingredienti e sul loro impatto ambientale, ma anche dalla parte dei clienti si è consolidato un interesse maggiore verso quelle realtà che propongono una cucina consapevole. Ecco perché si sente parlare sempre più spesso di “Farm to Table”, un movimento globale che trova sempre più esempi anche in Svizzera.
Ora che la questione climatica è al centro dei dibattiti e la consapevolezza che anche il cibo è parte cruciale del problema, sempre più guide gastronomiche premiano l’impegno di un ristorante a utilizzare metodi rispettosi dell’ambiente: lo fanno sottolineando l’origine e la qualità dei prodotti, la stagionalità degli ingredienti e l’impegno da parte dei cuochi a ridurre il più possibile lo spreco alimentare tramite metodi circolari di produzione.
Uno di questi premi è la stella verde Michelin: creata nel 2020 e oggi assegnata a più di 350 ristoranti in tutto il mondo, è un riconoscimento che si focalizza sull’impegno del ristorante verso una cucina responsabile. L’obiettivo della stella verde, infatti, è quello di sensibilizzare sia i ristoratori che i clienti a un approccio più etico e sostenibile.
Piero Roncoroni
Gli Incontri di Rete Uno 02.11.2024, 09:05
Non è solo questa stella verde a valorizzare ristoranti con obbiettivi simili; in Svizzera, per esempio, esiste il marchio Swisstainable, che vuole dare visibilità alle aziende nel settore turistico che si impegnano per uno sviluppo sostenibile
Il fenomeno globale “Farm to Table” : dalla fattoria alla tavola
Oltre a riconoscimenti, certificazioni e marchi, ci sono anche veri e propri movimenti che coinvolgono ristoranti accomunati dalla stessa concezione di cucina. Uno di questi è il concetto “farm-to-table” (o from farm to fork) che è diventato un fenomeno globale e sempre più popolare.
La traduzione di “from farm to table” è: “dalla fattoria alla tavola”; un concetto, dunque, che si fonda sull’avvicinamento del mondo della produzione e della terra a quello della cucina.
In concreto, un ristorante che si definisce farm to table, o produce e coltiva direttamente ciò che poi trasformerà in cucina, oppure accorcia la filiera acquistando direttamente dai produttori locali. Una conseguenza di questo approccio è la proposta, da parte del ristorante, di un menù che cambia costantemente – con più o meno frequenza - composto da un numero di portate più contenuto rispetto a ristoranti “convenzionali”, segnale che lo chef si adatta effettivamente alla disponibilità degli ingredienti in base alle stagioni e al territorio in cui opera.
Non esiste un menù fisso perché ci basiamo sulle materie prime locali, che vengono scelte di giorno in giorno.
Piero Roncoroni, Chef dell’Osteria del Centro premiata con una stella verde Michelin
Le radici del “Farm to Table” affondano nel movimento hippy americano
Le radici di questo concetto affondano negli Stati Uniti degli anni Sessanta e Settanta, quando, specialmente nel movimento hippy, è maturata una ripulsione verso il cibo industriale e ultra-processato sviluppatosi nel secondo dopoguerra. Così, nel 1971, la chef Alice Waters apre il ristorante Chez Panisse a Berkeley, in California, che si fa promotore di questa nuova filosofia: al centro della sua cucina ci sono prodotti di qualità, freschi, buoni e locali.
Cruciale, fin da subito, è stata la necessità di sapere da dove venisse il cibo che si mangiava: essere capaci di tracciare il percorso dalla “fattoria al piatto”, renderlo trasparente e garantire ai clienti ingredienti prodotti in maniera sostenibile e in linea con i valori del ristorante, in nome del supporto delle piccole aziende fuori dal circuito delle grandi produzioni industriali.
Il movimento ha iniziato a guadagnare in popolarità soprattutto negli anni 2000, con la crescita dell’agricoltura biologica e l’interesse crescente per un’economia più circolare.
In Svizzera sempre più giovani adottano la filosofia del “Farm to Table”
Il mondo della gastronomia elvetica vanta numerosi esempi che abbracciano questa filosofia, non necessariamente di alto livello in termini di guide o di spesa. Sono diverse le realtà che, avendone l’opportunità, dispongono di orti per coltivare direttamente i vegetali sul posto o, addirittura, allevanoi capi. Un esempio tra tanti è quello di Rebecca Clopath, chef grigionese nominata Food Hero 2023 dalla FAO: il suo ristorante coltiva frutta e verdura e alleva mucche da latte e da carne direttamente nella fattoria biologica Taratsch, così da «Disporre di materie prime di prima scelta a chilometro zero, rispettando stagionalità e tradizioni del territorio».
Con mestolo e forca: il progetto di Rebecca Clopath
Cuntrasts 14.08.2021, 09:20
Se questo non fosse possibile però, allora un ristorante lavora a stretto contatto con fattorie, cantine, pescatori - e in generale con altri tipi di produttori - così da conoscere l’origine dell’ingrediente e supportare la rete locale. Tra i diversi della Svizzera italiana, ne è un esempio la chef Kira Ghidoni di Contone: «Il mio desiderio è quello di creare una rete di produttori appassionati che forniscano prodotti locali biologici e che mi permettano di raccontare il territorio attraverso i miei piatti».
È fondamentale per me utilizzare prodotti ticinesi e svizzeri, così da sostenere l’economica locale.
Kira Ghidoni, Chef
Anche Jeremy Gehring, chef dell’antico borgo di Corippo, propone una cucina sostenibile legata al territorio del Sud delle Alpi, basata su ingredienti locali che rispettano il ciclo delle stagioni e puntando a ridurre al minimo gli sprechi. La sua cucina valorizza la collaborazione instaurata negli anni con giovani produttori locali, a testimonianza del fatto che c’è un crescente impegno delle nuove generazioni verso pratiche agricole sostenibili.
Il bello di lavorare con la gente direttamente, senza passare dalla grande distribuzione, è che si capisce veramente cosa c’è dietro, la storia e la realtà di un produttore.
Jeremy Cehring, Chef
Anche Joao Antunes, recentemente nominato “Chef emergente dell’anno” da Gault Millau, punta tutto sulla natura che lo circonda per portare la massima espressione del territorio a tavola: il suo impegno è diretto alla valorizzazione delle oltre 130 specie di piante che colorano e profumano le Isole di Brissago, ma anche alla rivalutazione del pesce di lago grazie a una diretta collaborazione con il pescatore locale Palmieri.
Uno chef sulle Isole di Brissago
Il Quotidiano 24.10.2024, 19:00
Questi esempi testimoniano come l’approccio “Farm to Table” non solo valorizza il territorio, ma costruisce una comunità locale che lavora insieme per promuovere la cultura e le risorse della regione.
La critica del prezzo
Una delle critiche maggiormente rivolte a certi ristoranti riguarda la fascia di prezzo, che spesso è più alta di quella di un ristorante “convenzionale”; questo perché gli ingredienti di qualità, spesso biologici, provenienti da piccoli produttori il cui rendimento è minore rispetto a quelli di scala industriale, sono naturalmente più cari. Ristoranti di questo genere possono essere quindi visti come elitari e non accessibili a chiunque.
Un altro aspetto che si aggiunge alla questione del prezzo è il fatto che gestire questo tipo di attività può essere più complicato, sia perché gli ingredienti stagionali e freschi, provenienti da produttori locali, possono essere più variabili rispetto a un fornitore internazionale, sia perché basare il proprio lavoro su un’economia circolare (e a spreco zero) richiede molta più ricerca, lavoro e fatica. Come ci ha raccontato la chef Kira Ghidoni: «In un mondo ideale si può veramente ridurre al minimo gli sprechi, bisogna solo ingegnarsi e aver voglia di fare. Certo, questo richiede più tempo e ricerca, perché è molto più facile gettare nella spazzatura. Le persone devono capire che al ristorante si pagano certi prezzi anche per questo».
Andreas Caminada
Cliché 05.11.2024, 09:00