Quando si pensa alla nonna, al calore di casa, al collaborare in cucina, l’immaginario collettivo va subito alla marmellata, compagna di risvegli e quotidiano della stragrande maggioranza di tutti noi. Ma, è corretto chiamare il dolce miscuglio di frutta “marmellata”?
Da sempre usiamo i termini marmellata e confettura come fossero sinonimi. In realtà c’è una differenza sostanziale: marmellata, spiegano i vocabolari, è solo quella ottenuta esclusivamente con agrumi (limoni, arance, cedri, pompelmi). Tutte le altre, realizzate con qualsiasi tipo di frutta, di una o più specie, o perfino di ortaggi, sono confetture.
L’affare è talmente serio che persino l’Unione Europea, nel 1982, ha fatto chiarezza dedicando una norma a queste conserve dolci: marmellata è “la miscela, portata a consistenza gelificata appropriata, di acqua, zuccheri e di uno dei seguenti prodotti ottenuti solo da agrumi: polpa, purea, succo, estratti acquosi e scorze.”; la “confettura”, invece, è riconosciuta come “la mescolanza, portata a consistenza gelificata appropriata, di zuccheri, polpa e/o purea di una o più specie di frutti e acqua.”
Alice Tognacci approfondisce il "marmellata gate" per L'Ora della Terra
RSI Food 31.07.2022, 12:35
Un po’ di grammi e proporzioni: confettura e confettura “extra”
La confettura si può riconoscere come tale se le proporzioni della ricetta sono le seguenti: in un 1 kg di prodotto finito, la quantità di frutta non deve essere inferiore ai 350 g (250 g per alcune specie di frutta a bacca come il ribes, per esempio o mele cotogne; 150 g per lo zenzero). Per la confettura “extra” questa quantità non deve essere inferiore ai 450 g, invece. La “gelatina” è invece costituita dalla mescolanza, sufficientemente gelificata, di zuccheri, di succo di frutta e/o estratto acquoso di una o più specie di frutta. Le stesse quantità sono riportate per la gelatina. Per la marmellata, invece, in un 1 kg di prodotto finito ci devono essere almeno 200 g di agrumi (di cui almeno 75 g provenienti dall’endocarpo - la polpa).
L’etimologia della parola “marmellata” e l’importanza della mela cotogna
I maggiori dizionari etimologici concordano per fare risalire la parola “marmellata” dalla portoghese marmelada, che indicava una confettura preparata con mele cotogne, miele e zucchero e sarebbe derivata dal latino melimelum, termine riferito sia a una confettura di miele (mel) e mele (malum), sia a un tipo di mela simile alla cotogna. Stessa cosa per il greco melimelon, composto sempre di miele e “mele”. Queste precisazioni ci fanno capire che per secoli si indicava come marmellata solo un’antenata della nostra cotognata odierna.
Secondo il ricettario romano attribuito ad Apicio, "De re coquinaria", risalente intorno al IV secolo dopo Cristo e principale fonte superstite della cucina nell'antica Roma, già i greci usavano bollire le mele cotogne insieme al miele per ricavarne una conserva, mentre ai tempi della Roma antica la frutta veniva immersa in un miscuglio di vino passito, vino cotto, mosto o miele, per la stessa finalità dei greci. Ai tempi, infatti, come dolcificanti venivano usati solo miele, datteri e uva passa, dato che per l’arrivo dello zucchero in Europa bisogna attendere il Medioevo.
L’avvento dello zucchero, il cambiamento e la marmellata come la conosciamo oggi
La scoperta della canna da zucchero – importata in Sicilia dagli arabi e incentivata nel XIII secolo da Federico II – segna un importante momento di svolta per il gusto e per le preparazioni del tempo.
Impiegato per secoli in Europa in ambito prettamente medicinale, mentre spettava al miele il ruolo di dolcificante in cucina, lo zucchero veniva venduto soprattutto in Spagna e in Italia dagli speziali insieme ad altri prodotti orientali. Questa “spezia” araba, infatti, aveva cominciato ad essere utilizzata in confetteria (una pratica sorta in ambito farmaceutico prima che gastronomico) per la produzione di piccoli confetti speziati da gustare a fine pasto come digestivo.
Solo intorno al Tre e Quattrocento, il miele, che fino a quel momento era stato tra gli ingredienti più utilizzati per addolcire, piano piano viene sostituito dallo zucchero e, mentre il primo si aggiungeva alle vivande come accompagnamento o come “salsa” in cui intingere qualcosa, il secondo entra nella loro composizione e preparazione, oltre a sostituire il miele nei suoi impieghi più tradizionali fino a quel momento.
Tornando alla marmellata, secondo diversi documenti è solo con l’arrivo dello zucchero, quindi, che è possibile rinvenire una ricetta prodotta con un metodo molto simile a quello dei giorni nostri, con la grande differenza che lo zucchero, al tempo, era anche ingrediente necessario per alcune tecniche di conservazione e a lungo rimase un ingrediente privilegio per pochi, come tutti gli alimenti “nuovi” di importazione. Addirittura, nella cucina quattrocentesca era ritenuto un alimento talmente raro e costoso che divenne un simbolo di distinzione sociale: le tavole aristocratiche e dell’alta borghesia non potevano farne a meno, per la fortuna dei mercanti veneziani che divennero i principali trafficanti e mastri trasformatori e raffinatori della dolce polvere bianca; è proprio a Venezia, infatti, che si sviluppa l’arte della confetteria e pasticceria. Solo a partire dall’Ottocento lo zucchero andò perdendo il suo carattere elitario e, con le considerevoli importazioni di zucchero di canna dalle colonie, anche la marmellata si diffuse in Europa settentrionale. Una delle più famose e amatissime “marmelade” del Regno Unito nasce proprio alla fine del 1800 a Oxford e, ancora oggi, oltre a trovarla in commercio come “original Oxford marmelade” è uno dei prodotti più amati dagli inglesi e dalla Regina – anche se la sua, a quanto pare, viene prodotta solo ed esclusivamente con le arance di Siviglia provenienti da un giardino di circa mille aranceti situato nel palazzo reale della città spagnola, patrimonio dell’UNESCO: ah! Quante ne sa la Regina... - .
A proposito di regine...
Come per tutte le ricette storiche, sono numerose le storie che nascono per sancirne la loro origine. Per la marmellata di arance, una delle più note imputerebbe a Caterina d’Aragona la sua invenzione. Nata in Spagna in un paese vicino a Madrid, una volta sposato Enrico VII, re d’Inghilterra, la leggenda vuole che la regale consorte spagnola soffrisse enormemente la lontananza dalla sua calda terra e, per mitigarla, avrebbe inventato la marmellata di arance per conservare profumi e sapori del prezioso agrume tipico di casa sua.
Un'altra leggenda vede sempre come protagonista una regina, Maria de Medici. La discendente della potente famiglia fiorentina dei Medici divenne regina di Francia nel 1600 sposando il re Enrico IV, poco dopo il suo trasferimento a Parigi una serie di malesseri della donna portarono i medici di corte a prescriverle una dieta ricca di vitamina C e quindi di agrumi, ma come trasportarli dalla Sicilia alla Francia senza il deperimento della frutta durante il lungo viaggio? Leggenda vuole che la frutta venisse trasformata in marmellata “per Maria ammalata” che, in francese si traduce in "pour Marie malade”... che “Marie malade” sia diventato poi “marmelade”?
La composta, un piatto a sé
Anche la composta entra in quelle preparazioni che hanno, di base, gli stessi ingredienti tra frutta e zucchero, ma essa viene descritta come una “conserva di frutta fresca o secca, lasciata intera o tagliata a metà o in quadri, cotta in uno sciroppo a base di zucchero e acqua con l’eventuale aggiunta di tradizionali aromatizzanti, come cannella, vaniglia, scorze di agrumi, chiodi di garofano, spezie...” Una sostanziale differenza nel procedimento per confezionare la composta, quindi, è l’uso di uno sciroppo come base a cui aggiungere frutta e aromi. In più, la frutta (fresca o secca) può essere utilizzata intera o tagliata a metà o in quarti. Se si usa frutta secca, poi, prima di procedere alla cottura basterà porla in ammollo in acqua tiepida e poi scolarla e strizzarla eliminando l’acqua in accesso. Una volta creato lo sciroppo, quindi, la frutta si aggiunge e si procede alla cottura a fuoco dolce e in leggera bollitura per consentire alla frutta di non disfarsi: altra sensibile differenza con confetture e marmellate che richiedono cotture più lunghe e prevedono il completo disfacimento dei frutti.
Una volta cotta la frutta con la quale si sta preparando la composta, va scolata, servita in una coppetta e irrorata generosamente con il fondo di cottura fatto ridurre leggermente. Volendo, questo sciroppo di cottura, una volta tolta la frutta, può anche essere legato aggiungendo una piccola quantità di confettura.
La composta va generalmente servita fredda ed eventualmente profumata con un goccio di liquore a piacere.
Molte composte, soprattutto quella di mele e mirtilli, vengono utilizzare per accompagnare arrosti o selvaggina.
Per prepararla si possono dare due indicazioni in base al tipo di frutta che viene utilizzato: se più o meno zuccherina. Su 1 kg di frutta più zuccherina (come albicocche, pere, pesce, ciliegie e prugne) si può preparare uno sciroppo con 700 g di zucchero per 1 litro di acqua. Nel caso si utilizzasse della frutta meno zuccherina (come mele, lamponi, mirtilli, fragole), sempre su 1 kg di frutta, lo sciroppo può essere preparato con 1 kg di zucchero sciolto in 2,5 dl di acqua (¾ di litro). Da notare che se le composte devono accompagnare dei piatti a base di carne, come degli arrosti, la dose di zucchero andrà ridotta almeno della metà, secondo i gusti.
Storicamente questa preparazione aveva uno spazio ben preciso nei banchetti del Tardo Medioevo inglese: la composta veniva infatti servita prima dell’ultimo piatto di una festa. Durante il Rinascimento, invece, era servita fredda a fine cena.
Fonti:
M.G. Gotti, “Grande enciclopedia illustrata della gastronomia”
A. Capatti, M. Montanari, “La cucina italiana. Storia di una cultura”