Visions du Réel ha appena chiuso la sua 48esima edizione e - come da tempo annunciato - è ora il momento del passaggio di testimone: dal direttore artistico dimissionario Luciano Barisone, rimasto in sella per sette anni, alla sostituta Emilie Bujès, che fino ad oggi è stata la sua vice.
Visions d’Emilie (Rete Due 1.5.2017)
Attualità culturale 01.05.2017, 17:05
Contenuto audio
Per una questione di eleganza, durante il festival ha lavorato alacremente, si è tenuta volutamente un in disparte e non ha rilasciato interviste. Adesso però è il momento di sapere qualcosa di più su di lei e sul percorso che l'ha portata fin qui. Ecco ciò che ha detto ai microfoni della RSI:
In effetti ci sarà di sicuro una certa continuità, perché sono ormai cinque anni che lavoro con Luciano e faccio parte del suo comitato di selezione dei film. C’è stato ovviamente un concorso per la mia nomina, non è stata una scelta fatta all’interno del festival. In ogni caso condividiamo indubbiamente una certa idea di cinema, anche se io vengo da un contesto diverso dal suo e forse si apriranno altre porte.
Quale dunque il contesto in cui si è formata:
Io vengo dall’arte: Storia dell’arte in un primo momento, poi nello specifico arte contemporanea. In questo settore mi sono dedicata fin da subito alla videoarte e poi molto rapidamente sono andata verso il cinema in maniera più ampia. Da cinque anni, come, dicevo sono qui e negli ultimi tre anni ho lavorato anche come direttrice artistica aggiunta del Festival di La Roche-sur-Yon, vicino a Nantes. Ho quindi un percorso che si posiziona a metà tra avventure sperimentali e esperienze più classiche. Con una certa apertura di spirito, in ogni caso.
Barisone ha voluto spesso negare il termine "documentario", preferendo riferirsi ad un concetto più ampio di "cinema del reale"...
Sono assolutamente d’accordo con lui, in effetti. La questione più complicata, dal momento in cui ci si distanzia o ci si sbarazza del termine documentario, è riuscire a definire bene le cose. Penso che il termine “reale” sia il più appropriato e in effetti a parte il termine “cinema del reale” ci sono poche parole che descrivano ciò di cui si parla. Ma più importante, per me come per lui, è che sia cinema, che si tratti di veri film, che ci sia un approccio cinematografico applicato alla realtà.
Visions du Réel si contraddistingue - pur essendo un festival di dimensioni medio-piccole - per il vivace mercato dei documentari che affianca le proiezioni:
Sì, un aspetto molto importante è che abbiamo un mercato molto grande. Non è solo una questione di dimensione. Altrettanto importante è il fatto che funziona molto bene. E in effetti non solo le persone si incontrano a Nyon, ma tanti progetti prendono il via, per esempio nel quadro del Focus. Ogni anno abbiamo un paese invitato e vari spunti presentati in quel contesto. Constatiamo che un progetto che era qui magari qualche anno prima al Focus Pitch, l’anno dopo spesso torna di nuovo nel Rough Doc Lab, magari dopo aver trovato un coproduttore svizzero o un venditore internazionale, e poi finalmente quest’anno può tornare qui finito, in competizione. Quindi c’è davvero una volontà di seguire e accompagnare i film dall’inizio fino alla fine del loro percorso.
Cosa le lascia Luciano Barisone a livello umano e di esperienza?
La generosità. Credo che sia la cosa che mi lascia maggiormente. La generosità nei confronti dei film. È un aspetto che mi ha colpito e che cercherò di portare con me il più a lungo possibile. La maniera che ha Luciano di guardare ogni film come se fosse il primo film della sua vita. Questo penso sia davvero molto raro. Ne vediamo evidentemente moltissimi ed è possibile che ogni tanto subentri una forma di fatica o di rilassamento. Luciano invece guarda ogni cosa come se fosse la prima della vita. È un valore prezioso che voglio tenere con me per restare come lui, appassionata fino alla fine.
mz