Lunedì a regnare sulle piazze finanziarie di tutto il mondo è il panico. I principali indici azionari hanno visto pesanti crolli. A Zurigo lo Swiss Market Index ha chiuso in discesa di 3,8 punti percentuali, dopo averne già persi quasi 4 venerdì. Gli investitori hanno puntato sui beni rifugio più tradizionali, che godono di importanti movimenti al rialzo: salgono le obbligazioni e il franco svizzero.
La fame di rischio degli ultimi anni si è saziata e ora gli investitori sembrano prediligere la sicurezza. Il prezzo delle obbligazioni sui dieci anni di quasi tutti i Paesi del mondo occidentale ha registrato un aumento negli ultimi giorni. Le obbligazioni americane a 10 anni hanno toccato il 3,77% dopo aver stazionato per due anni intorno al 4%. La caduta dei rendimenti è stata netta e la tendenza è al ribasso. Così i titoli di Stato di quasi tutta l’Eurozona.
Le obbligazioni
È un titolo di credito che può essere emesso sia da società private che da enti pubblici, come gli Stati. Se compro un’obbligazione, presto del denaro a chi emette l’obbligazione. L’emittente prende il mio denaro e lo usa come meglio crede; dovrà tuttavia restituirmelo al termine del contratto.
L’obbligazione ha un prezzo e un interesse.
Durante il tempo del contratto l’emittente dovrà versarmi l’interesse calcolato sul capitale imprestato.
La durata del prestito viene definita dal contratto, maggiore è la durata, maggiore sarà l’interesse che l’emittente deve al prestatore.
Il prezzo e l’interesse dell’obbligazione procedono in maniera invertita: quando il prezzo dell’obbligazione sale, il tasso d’interesse scende.
Il franco svizzero? Il franco svizzero lunedì si è mostrato imbattibile. Contro l’euro ha segnato un 0.93 a fine seduta. Per trovare un valore simile bisogna tornare al 2015; per uno più basso si torna indietro fino alla crisi del 2008. E anche contro il dollaro la moneta elvetica non scherza, batte uno 0.84 nel momento in cui si scrive.
La ragione della sua forza? È forte perché lo comprano tutti. Più lo comprano e più il suo prezzo sale contro quello delle altre valute. Lo comprano perché garantisce sicurezza. La fiducia che gli investitori di tutto il mondo ripongono nel franco svizzero lusinga. Ma un franco forte intimorisce.
Da un lato la sua forza rende felici i risparmiatori e (soprattutto) i turisti elvetici diretti verso l’Europa e gli Stati Uniti, che vedono il loro potere d’acquisto crescere, potendo così acquistare e consumare di più all’estero.
Dall’altro spaventa però l’economia. Questo perché il successo e la fortuna dell’industria svizzera risiede soprattutto nell’esportazione, in special modo in quella verso gli Stati Uniti (nostro primo cliente di riferimento parlando di singole nazioni) e l’Eurozona. A causa del cambio maggiorato, gli attori economici di queste regioni avranno più difficoltà a comprare i nostri prodotti, perché con gli stessi soldi di ieri, oggi compreranno meno. E questo è un cattivo presagio per la Confederazione, che negli ultimi mesi ha visto la propria produzione industriale indebolirsi. In particolare, nel settore manifatturiero, che ha sofferto due brutti cali negli ultimi due trimestri.
Cosa è successo?
Crollano le borse mondiali
Telegiornale 05.08.2024, 12:30
Il primo dato che giovedì ha spaventato gli investitori sono stati i risultati del PMI, l’indice che misura - per dirla semplice - il benessere dell’industria manifatturiera statunitense. Per quasi tutto il 2023 è rimasto stabile, ma le ultime misurazioni indicano una chiara contrazione del settore secondario.
A complicare le cose ci hanno pensato venerdì i dati sulla creazione di posti di lavoro e i dati sulla disoccupazione. Quest’ultima è aumentata (al 4,3%) preoccupando gli economisti, che prevedevano invece un mantenimento dei livelli precedenti. La creazione dei posti di lavoro ha deluso ampiamente le attese. Per luglio si ci aspettava un aumento di 175’000 unità, ma il valore si è fermato a 114’000. Sintetizzando i due dati: si confidava in una disoccupazione stabile e un’occupazione più forte, ma a luglio l’economia americana ha prodotto meno posti di lavoro del previsto ed ha creato più disoccupazione dello sperato.
Per finire, “i magnifici sette” (Alphabet [Google], Meta, Microsoft, Apple, Amazon, Nvidia, Tesla) hanno presentato risultati trimestrali poco esaltanti. Il NASDAQ, l’indice azionario dell’hi-tech statunitense, ha accusato il colpo bruciando oltre 6’000 miliardi di dollari in valore nel giro di circa tre settimane. Il ribasso si è irradiato anche su altri prodotti molto volatili. Il Bitcoin lunedì crolla quasi del 20% e precipita a 50’000 dollari. Calato anche il petrolio.
Ricapitolando: la pubblicazione dei risultati trimestrali delle grandi aziende tecnologiche, spinte fino ad oggi dal boom dell’IA, ha riportato con i piedi per terra un settore che ultimamente aveva visto crescere in modo sproporzionato il suo valore. Ad smorzare ulteriormente l’entusiasmo sono stati poi i dati macroeconomici di settimana scorsa, che hanno confermato il rallentamento generale dell’economia statunitense.
Tornado in Giappone
Il crollo negli States si è riverberato in tutto il mondo, ma per l’Asia l’onda d’urto è stata particolarmente intensa. Per il Giappone soprattutto.
Due giorni prima della diffusione dei dati statunitensi, mercoledì, la Banca del Giappone (Bank of Japan, BoJ) ha annunciato un aumento dei tassi d’interesse, portandoli allo 0.25% col timore di ulteriori rialzi.
“Un aumento risibile” dirà l’investitore europeo. Ma per il Sol levante il rincaro rappresenta un cambio di paradigma, siccome l’isola ha mantenuto i tassi quasi per vent’anni attorno allo 0%, in alcuni casi anche in territorio negativo.
E la paura per ulteriori rialzi ha probabilmente portato gli investitori ha farsi una scorpacciata di yen, che si rafforzato notevolmente nelle ultime sedute. Ora con circa 142 yen si compra un dollaro; fino a un mese fa ne servivano circa 160. Di convesso, come si è visto per il mercato svizzero, questo rappresenta un problema per le esportazioni giapponesi. Specialmente per quelle verso gli Stati Uniti, il primo destinatario dei prodotti nipponici (nel 2022 il 18,8% andava negli USA).
La congiuntura macroeconomica dettata dall’America, il cambio di politica monetaria della BoJ e la prospettiva di un’industria giapponese ostacolata da un export appesantito dal rafforzamento dello yen: questo il mix che ha portato il Nikkei a perdere quasi il 15% del suo valore nelle ultime tre sedute.
Borse in calo, occhio sulle banche centrali
SEIDISERA 05.08.2024, 18:13
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Telegiornale 05.08.2024, 20:00