I Paesi dell'OPEC+ sono rimasti parzialmente sordi agli appelli di Joe Biden e hanno deciso mercoledì di rallentare il ritmo degli aumenti della produzione. Il presidente degli Stati Uniti auspicava che i rubinetti venissero aperti in modo più deciso, così da frenare l'incremento dei prezzi, con conseguenze sui carburanti e di riflesso sulla forte inflazione, che getta ombra sulle possibilità dei democratici alle elezioni di metà mandato in novembre.
I produttori di greggio dell'OPEC guidati dall'Arabia Saudita e gli alleati condotti dalla Russia hanno convenuto che in settembre verranno immessi sul mercato 100'000 barili in più, secondo quanto comunicato. Per i due mesi precedenti ne erano stati promessi rispettivamente 432'000 e 648'000 in più. L'effetto immediato è stato il contrario di quanto sperava la Casa Bianca: i prezzi sono saliti. Nella speranza di influenzare la decisione, Biden aveva persino incontrato due settimane fa il principe ereditario saudita, perdonando di fatto l'assassinio del giornalista Jamal Khashoggi.
La visita di Biden in Medio Oriente
Telegiornale 15.07.2022, 22:00
I 23 membri dell'OPEC dovevano rinnovare un'intesa in scadenza e sulla carta hanno ritrovato i livelli pre-pandemici. Nel 2020 era stato infatti stabilito di ridurre l'estrazione, visto che il rallentamento economico dovuto al Covid non permetteva di assorbire i volumi usuali.
La nuova strategia che non può piacere a Washington fa invece il gioco di Mosca, che ha interessi diametralmente opposti. Allo stesso tempo, però, dimostra che l'organizzazione rimane unita al suo interno e anticipa i rischi di una recessione, che già hanno frenato i prezzi nelle ultime settimane, tanto che rispetto ai massimi di marzo (a inizio conflitto in Ucraina) l'oro nero vale ora un terzo in meno.
Notiziario 17.00 del 03.08.2022 Petrolio
RSI Info 03.08.2022, 19:13