Oltre a criticare la regolamentazione dei social media da parte dell’UE, Mark Zuckerberg, nel suo annuncio di martedì ha anche fatto autocritica sui sistemi di fact-checking e di monitoraggio dei contenuti di Facebook e Instagram che, ha riferito, producevano troppi errori a dispetto delle forze messe in campo: erano infatti 90 le organizzazioni di verifica che lavoravano per 60 aree linguistiche e c’era un sistema di bandierine che etichettava i contenuti virali secondo le categorie “satira, falso, parzialmente falso o fuori contesto”.
Quanto è convincente questa motivazione “tecnica” di Zuckerberg alla sua decisione di porre fine al fact-checking su Facebook e Instagram? Il sistema di monitoraggio dei contenuti produceva davvero così tanti errori? Probabilmente, ha spiegato alla RSI il direttore della rivista Wired Italia, Luca Zorloni, il processo di controllo non è mai stato semplice e pulito. Ad un certo punto, ha spiegato, sono stati identificati i mezzi di informazione, quelli controllati da alcuni governi, come di fatto megafoni di un tipo di propaganda.
“Se il processo non è buono, riferisce nell’intervista Zorloni, non è che necessariamente smantellando che si migliorano le cose. Forse prima si cerca di migliorarlo e di lavorare perché sia più efficace, ma è chiaro che le tempistiche con cui questa decisione è stata presa, e la retorica adoperata da Zuckerberg, dimostrano che il motivo dietro non è tanto quello di rigettare un sistema, una procedura di controllo che non funzionava. Chiaramente è un inchino al presidente entrante: a due settimane dall’insediamento di Trump, con Trump citato espressamente nel video, è chiara la mossa”.
Si è entrati, forse, in un epoca di “tecno-feudalesimo?”
“Io penso che siamo in un’epoca in cui assistiamo alla nascita di Stati non Stati”, precisa il direttore, “piattaforme talmente grandi e talmente importanti e rette con delle regole che hanno un’incidenza che esonda nel posto in cui si applica, cioè quello che noi vediamo e che viene regolato su Facebook o su X o su Instagram, ha un effetto sulla nostra vita che va oltre la sola piattaforma”.
“Quindi assistiamo ad uno scontro tra la politica che regola il mondo reale, cioè il mondo in cui viviamo fatto dei confini nazionali a cui siamo abituati, e una diplomazia guidata dalle aziende e dalle piattaforme che invece gestisce e maneggia i confini di questo altro spazio della nostra vita. E spesso gli interessi non sono allineati, anzi confliggono”. Il responsabile delle rivista italiana non esclude che Zuckerberg stia progettando di dare più visibilità a quei contenuti più incendiari o polemici, magari non necessariamente solo falsi, per avere più reazioni e per mantenere gli utenti all’interno delle piattaforme.
L’esperto italiano addita queste come funzionali all’intrattenimento. Quindi, se funziona meglio un post polemico perché questo scatena una ridda di commenti, quindi tiene la gente incollata dal punto di vista del business della società, forse, dice, tanto meglio. “Un business magari non particolarmente visionario, conclude, perché ne conosciamo ormai le conseguenze di questo tipo di atteggiamento, ma pur sempre un business”.
Meta, la marcia indietro di Mark Zuckerberg
Telegiornale 08.01.2025, 20:00