Le testimonianze

“La violenza non può essere la risposta a tutto”

Yonit Keidar è sopravvissuta all’attacco di Hamas al festival musicale in Israele. Alla RSI racconta: “Le persone urlavano di fermarci. Siamo riuscite a farne salire alcune in macchina”

  • 13 ottobre 2023, 12:23
  • 8 dicembre 2023, 10:58

Sopravvissute all’assalto di Hamas

Falò 12.10.2023, 21:05

Di: Falò/RSI Info

“Le persone hanno iniziato a correre all’impazzata in tutte le direzioni. Qualcuno era scalzo, altri cadevano e nella collina di fronte abbiamo visto che c’erano altre persone che scappavano. Eravamo circondati”. Yonit Keidar è sopravvissuta all’attacco del 7 ottobre di Hamas al festival di musica elettronica di Reim, a ridosso del confine con la Striscia di Gaza. A raccogliere la sua testimonianza a Tel Aviv l’inviato RSI Davide Mattei.

“È una situazione che continua da generazioni”

Durante l’attacco sono morte circa 250 persone, mentre almeno altre 300 risultano ancora disperse. Non si sa se siano state portate a Gaza dai terroristi o se i loro corpi si trovino ancora nell’area del festival. Quel sabato mattina, all’arrivo dei missili e degli spari, Yonit è salita sulla sua macchina per provare a scappare attraverso i campi coltivati. “Le persone hanno iniziato a urlare ‘Fermatevi! Fermatevi! Fateci salire’. Allora abbiamo aperto le porte, li abbiamo fatti salire, ma non mi sono mai davvero fermata”. La donna è riuscita a portare in salvo con sé otto persone. “È una situazione che continua da generazioni, si deve fermare, deve finire. Entrambe le parti hanno colpe o non stanno facendo il loro meglio. Ma questo terrore, questa violenza, questa disumanità, non può essere la risposta. Non può”.

“Uccidono bambini, adolescenti... Non hanno sentimenti”

La rabbia, dopo quello che è successo, è tanta. Come quella di un uomo che nella zona del festival ormai deserta cerca una sua amica dispersa: “Questi non sono terroristi, questi sono dell’Isis. Se volete sapere che cos’è Hamas, ebbene è come l’Isis. Uccidono bambini, uccidono adolescenti, non hanno sentimenti, non hanno coscienza, non hanno un minimo di pietà”, dice di fronte ai cadaveri degli assalitori.

“Il dilemma era stare nel bunker o scappare”

Ad aver deciso di mettersi in macchina è stata anche Sari Levi, cresciuta a Lugano, che si trovava qualche decina di chilometri a nord, ad Ashkelon, dov’era in vacanza con la madre di 83 anni: “Siamo corse nel bunker e praticamente è stato un bum dopo l’altro”. Dopo aver saputo che i terroristi stavano girando per le città, ha deciso di prendere la macchina e scappare: “Il dilemma era stare nel bunker e aspettare che succedesse qualcosa, aspettare che arrivassero quei terroristi e ci ammazzassero in casa oppure uscire, prendere la macchina, rischiare per cinque minuti però andarsene via”.

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