DA BEIRUT
Abou Hassan, 57 anni, comandante di Hezbollah, ci accoglie nel suo bugigattolo del quartiere di Khandaq al-Ghamiq. La giacca non riesce a nascondere totalmente la fondina della pistola; un kalashnikov è poggiato sulla poltrona, sul televisore scorrono le immagini di mullah, predicatori col turbante rigorosamente nero, il colore dei martiri sciiti, inframezzate da istantanee di guerra, esplosioni e combattimenti, su un altro schermo si vedono le strade del quartiere sotto sorveglianza e controllo da parte del partito di Dio.
La strada più veloce per raggiungere Damasco passa da Beirut, la guerra siriana dista una sessantina di chilometri. E' anche la strada più sicura a condizione di avere il benestare proprio degli Hezbollah, attori armati quanto imprescindibili della politica nell'aggrovigliato paese dei Cedri, alleati assieme agli iraniani del presidente Assad in quel teatro siriano nel quale combattono contro la galassia fondamentalista sunnita, dall'Isis a Al Nusra (Al Qaida) ma anche le forze dell'opposizione moderata.
Così nel primo giorno del nostro viaggio verso la terra della Grande Guerra, decidiamo di passare attraverso queste milizie considerate terroriste da parte del mondo occidentale e Israele, me che nella lotta allo Stato Islamico sono diventate pedina fondamentale e di riflesso, in uno dei tanti paradossi di questo conflitto, molto utili a tutti i paesi che considerano l'Isis la principale minaccia.
Abou Hassan, come tutti i dirigenti di Hezbollah è cresciuto nella guerra: quella civile lunga 15 anni e decine di migliaia di morti che ha dilaniato il Libano, e ora artefice di quella devastante combattuta a Damasco, Maaloula, Homs, Aleppo, o Hama. "Il nostro obiettivo è di proteggere il nostro paese dalle incursioni dell'Isis, per questo siamo in Siria a combattere con Assad" ci racconta e con lo stesso tono di voce moderato denuncia il fondamentalismo sunnita - riconducibile alla fratellanza musulmana, l'ipocrisia occidentale, Israele che - secondo lui - di fatto finanzia i terroristi anti Assad. Nega che anche loro, i militanti sciiti del partito di Dio siano settari e fondamentalisti. Prova sarebbe il fatto che in Hezbollah ci sarebbero pure sunniti e cristiani.
Ci lasciamo con una cordiale stretta di mano, ben coscienti che tutto qui è da prendere con le classiche molle. Ogni gruppo, ogni fazione vende la sua verità in una consumata operazione di marketing politico. L'incontro comunque ci ha confermato quanto quella siriana sia una guerra condotta anche da attorni esterni, una "proxy war", in cui il partito di Dio libanese svolge un ruolo centrale.
Per quanto ci riguarda abbiamo l'impressione di poter dirigerci ora verso Damasco con maggiori garanzie di sicurezza.
Roberto Antonini, Paola Nurnberg
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