La crisi tra Ucraina e Russia sta già provocando gravi problemi d'approvvigionamento di grano e cereali in Africa, dove è cresciuta all'improvviso la richiesta di passaggi per raggiungere l'Europa, come verificato sul posto dalla collaboratrice della RSI che si trova al confine tra Marocco e Algeria. I migranti impiegano però solitamente mesi prima di arrivare alle coste del Mediterraneo e pertanto è probabile che non si vedranno effetti fino ad agosto o ottobre.
A dipendere dal grano russo, spiega Jamila Bergh, capo del progetto Airbag che si occupa dell'assistenza dei migranti in transito alla frontiera tra i due Stati del Maghreb, sono infatti in molti in Africa. In Senegal copre il 66% del fabbisogno, in Somalia il 70%, in Tanzania il 64%, in Sudan il 75%, nella Repubblica Democratica del Congo il 69%. E poi c'è chi dipende al 100% dal grano russo, come il Benin.
Jamila Bergh specifica inoltre che la questione si somma a "una realtà già critica, poiché il continente è confrontato ormai da diverso tempo con il problema della siccità e dei cambiamenti climatici che hanno tramutato in deserto tutti i campi coltivati ".
La partenza non è quindi una scelta, ma una necessità. "La verità è che noi non vogliamo andare via dalle nostre case, ma se non c'è cibo, non c'è acqua, non c'è lavoro, abbonda però la violenza, la guerriglia e la morte.... Dobbiamo farlo" spiega Makan, scappato dalla Nigeria dopo che Boko Haram ha ucciso parte della sua famiglia. "Noi siamo dipendenti al 100% dal grano russo e ora che non ce n'è più mancherà anche quel poco che ci serve per la nostra base alimentare: il cuscus. Il problema poi, è che non abbiamo nemmeno i soldi per pagare quello che dobbiamo comprare; ammesso di trovare altri fornitori" aggiunge.
Jamila Bergh ribadisce il medesimo concetto: "senza cibo e acqua, sono migliaia le persone che si stanno spostando da una regione all'altra in cerca di salvezza... Non ci vorrà molto perché grandi flussi migratori cercheranno salvezza a sud del mondo".