Il 26 settembre scorso, in poche ore una quantità inusuale di acqua si è abbattuta sul Nepal, una coda violenta del monsone estivo. Il fiume Bagmati e i tributari si sono ingrossati a grande velocità, la capitale Kathmandu è finita in gran parte sott’acqua, molte case e persino un ospedale a fianco dei corsi d’acqua hanno subito inondazioni. Come se non bastasse, le piogge hanno fatto franare diverse strade e fianchi di montagne, seppellendo i passanti. Ora si sa che i morti sono stati oltre 230, 10’000 le abitazioni totalmente spazzate via.
L’associazione umanitaria Helvetas ci accompagna a Panauti, a un’ora e mezza da Kathmandu. Uno dei luoghi più colpiti, con 22 morti nella municipalità. E basta aprire gli occhi per capire come mai. Una stretta valle con un torrente molto rapido, fiancheggiata qua e là da orti e abitazioni che non si capisce come si reggano sul fianco scosceso.
Parvati
La testimonianza di Parvati
Parvati ha solo 21 anni e un figlio di due. Sposata da 5 anni (una sposa bambina, sì) era in casa con figlio e marito quando la pioggia si è fatta troppo insistente, e ha sentito la terra mancarle da sotto i piedi. “Ho preso mio figlio e sono fuggita orizzontalmente, sotto c’era il fiume in piena e sopra la montagna di fango che ci crollava addosso. Non ho potuto salvare il nostro cane”, dice. Ora vive in una casa abbandonata più a monte. Ha perso tutto.
Un altro sinistrato è Kalki, falegname di 70 anni. Della sua casa rimane solo metà, l’altra metà ha perso le pareti ed è sotto il fango. È grato di aver ricevuto detergente e sacchi di riso e altri beni di prima necessità dalla Helvetas, ma ora gli serve legname per ricostruire la sua casa, e per tornare a lavorare.
Kalki
L’esperienza di Helvetas
Helvetas ha compreso da precedenti crisi come il terremoto del 2015, che per prima cosa bisogna portare cibo, sapone e utensili per cucinare. Ma poi serve ricostruire. Per far questo, il governo del Nepal prende la direzione, stabilendo le priorità e gli stanziamenti. Le ONG si uniscono aumentando il budget e offrendo le loro capacità di intervento.
L’amministratore municipale Maesur Zenghar testimonia: erano 40 anni che non si vedeva una alluvione del genere. Tutti sapevano che sarebbe arrivata, un giorno, ma cosa fare? “Questa è la nostra terra, i nostri campi che lavoriamo, le nostre case, non possiamo spostare tutto da un giorno all’altro”.
C’e anche una miniera di rocce e sassi, a complicare le cose, attaccata al torrente e alle case. L’ammasso di detriti portati a valle ha contribuito alla severità del disastro. Ma le miniere ci servono, sottolinea l’amministratore, che intende sviluppare Panauti come città mineraria.
Anche le scuole sono rimaste sepolte dalle macerie. Quella di questo piccolo borgo serve oltre 100 allievi da 6 a 15 anni. È per metà sotto il fango oramai solidificato. Una lavagna spunta da un metro di altezza. Ancora si vedono i nomi per fare l’appello.
Tra pochi giorni dopo le vacanze di Diwali le scuole riapriranno. Tutte e 15 le scuole di questo comune sono danneggiate o distrutte. Ma Maesur Zenghar non si dà per vinto. Accanto alle macerie sorgerà una tenda. Lezioni sotto il tendone sono meglio che niente. Ma l’inverno è alle porte.