Manca una firma. La più importante, quella di un’agenzia federale, che per ora impedisce al team di Joe Biden di portare avanti la transizione verso la Casa Bianca. “La conseguenza del ritardo nella capacità del presidente eletto di prendere in carico il governo potrebbe significare che il nostro paese è in condizioni peggiori”. Lo dice alla RSI l’avvocato Max Stier, fondatore e presidente del Partnership for Public Service, un’organizzazione bipartisan con sede a Washington che promuove la collaborazione tra le agenzie federali. Non solo. Ma per i collaboratori di Biden potrebbe essere più difficile affrontare la pandemia, per esempio. Il danno – aggiunge – “potrebbe essere enorme e avere un impatto sul benessere degli americani”.
Che cosa serve a Joe Biden e al suo team per portare avanti il complicato processo di transizione?
Hanno bisogno della collaborazione dell’amministrazione Trump, per avere le risorse necessarie. E per ottenerle è indispensabile la firma di una specifica agenzia federale che in attesa dei risultati definitivi dichiari per ora Biden almeno come il vincitore apparente delle elezioni.
Ma la responsabile di quest’agenzia, nominata da Trump non ha ancora firmato.
Finora non l’ha fatto. Questa agenzia aveva appoggiato la transizione prima delle elezione. Non ha mai interrotto la cooperazione. Ma ora servono più risorse, altrimenti Biden non sarà poi pronto al momento dell’insediamento. Il sistema di governo americano è diverso da quelli europei. Il passaggio di consegne avviene su una scala molto larga: di solito il nuovo presidente effettua circa 4mila nomine politiche. Quindi prendere in carico il governo è un’operazione molto complessa, e occorre essere pronti in modo altrettanto ampio.
L’ organizzazione di cui lei è presidente ha creato il Centro per la transizione presidenziale. Meccanismi che voi conoscete bene. Quali rischi di un passaggio di poter in ritardo o comunque rallentata?
La conseguenza del ritardo nella capacità del team di Biden di prendere in carico il governo, potrebbe significare che il nostro paese è in condizioni peggiori. E che è più difficile per i collaboratori di Biden affrontare la pandemia, per esempio. Il danno potrebbe essere enorme e avere un impatto sul benessere degli americani. E viste le connessioni in cui viviamo, i problemi potrebbero ricadere anche su altri paesi.
Però il presidente Trump ha il diritto di contestare il voto e chiedere i riconteggi laddove previsto dalla legge. Come si può garantire l’equilibrio tra questa sua prerogativa e la necessità di Biden avviare comunque in modo rapido ed efficace la transizione?
È una domanda molto corretta. L’equilibrio deriva dal fatto che questi due elementi non sono in contrasto. L’ufficio federale di cui parlavano dovrebbe solo riconoscere Biden come “vincitore apparente” per ora. Questo non avrebbe alcun impatto sui ricorsi del presidente Trump. Che potrebbe così continuare a contestare l’esito del voto in tribunale. L’equilibrio serve proprio per evitare interferenze e garantire entrambi, compresa una solida preparazione del processo di transizione. Non ci deve essere un conflitto, che è inutile e dannoso.
Anche nel 2000 il contenzioso tra George Bush e Al Gore rallentò questa transizione tra presidenti. Cosa è diverso da allora?
Ci sono vere differenze rispetto al 2000. All’epoca i due partiti avevano preso atto della controversia sul conteggio. Ma non eravamo nel mezzo di un’orrenda pandemia, di un collasso economico, e non c’erano questioni legate alla sicurezza nazionale in caso di passaggio di poteri rallentato. Non è la situazione in cui siamo adesso. Dobbiamo essere consapevoli dei rischi: una transizione lenta nel 2000, oggi non ha lo stesso significato.
Emiliano Bos – corrispondente RSI dagli Stati Uniti