Nove anni fa, il 17 febbraio 2008, il Kosovo proclamava la propria indipendenza. La Svizzera fu tra i primi paesi a riconoscerlo come stato. Ma a nove anni dal divorzio dalla Serbia, questo piccolo paese balcanico è ancora lontano dall’aver raggiunto una normalizzazione e dall’aver creato delle istituzioni statali in grado di funzionare autonomamente. La presenza internazionale rimane molto importante. E pesanti rimangono le provocazioni tra le due comunità principali del paese: la maggioranza albanese e la minoranza serba. Il punto più caldo è nel nord, a Mitrovica, dove il fiume Ibar divide il settore abitato dalla popolazione di etnia albanese da quello di etnia serba. Il nostro inviato Pierre Ograbek inizia l’intervista al presidente del Kosovo Hasim Thaci, proprio da questo esempio. Come sciogliere le tensioni tra le due comunità?
Mitrovica è parte del Kosovo, è un unico. Stiamo lavorando al massimo per integrare tutti i cittadini nelle istituzioni, anche quelli della comunità serba. Dopo i colloqui che abbiamo avuto a Bruxelles siamo riusciti a integrarli nell’amministrazione locale e nazionale. Coloro che a Mitrovica erano sulle barricate, ora sono in Parlamento o nel Governo. Naturalmente bisogna fare ancora di più a Mitrovica. Ma non ci sono più le barricate: la circolazione è libera per la gente e per le merci. Il Kosovo appartiene a tutti quanti i suoi cittadini, senza distinzioni etniche. E continuiamo a lavorare insieme.
Lei sta costruendo dei ponti, tra le comunità in conflitto, ma deve far fronte a delle proteste, anche da parte di albanesi del Kosovo. Non si sente a disagio?
Il dialogo con la Serbia non è facile, ma non c’è alternativa per costruire la pace e la stabilità. Il dialogo con i vicini, il processo di pace, la riconciliazione, saranno sempre fonte di critiche. Ma noi siamo determinati a creare stabilità e relazioni di buon vicinato con la Serbia. È l’unica strada per arrivare al nostro obiettivo: l’adesione alla Nato e all’UE. Dobbiamo comportarci in modo europeo, l’uno con l’altro.
L’UE però attualmente è debole e divisa. Un grosso problema, per lei...
L’UE non è cambiata dopo la Brexit. È vero che il mondo cambia. Però noi non abbiamo alternativa: vogliamo essere parte dell’UE, ci stiamo lavorando. Mi sento orgoglioso di essere il presidente di un paese con la popolazione più europeista di tutti, nel continente.
Ma lei continua comunque ad avere fiducia in questa Unione Europea?
Io mi dedico totalmente all’integrazione europea. Ma non sono d’accordo con i ritardi nei confronti del Kosovo e dei Balcani occidentali. In questo modo la comunità europea sta aprendo la strada ad altre ideologie, antieuropeiste.
Quindi attualmente quale è il suo più grande timore?
Il ritardo della comunità europea è la mia più grossa preoccupazione. Non deve vedere i Balcani occidentali attraverso delle procedure burocratiche, bensì attraverso un approccio geostrategico.
Il tanto atteso sviluppo economico rimane un settore chiave per il Kosovo. Potremo realisticamente attenderci dei miglioramenti, a breve termine?
Il Kosovo sta seguendo un trend economico positivo, con una crescita attorno al 4 percento annuo circa. L’economia, la creazione di nuovi posti di lavoro, restano una priorità. Con le nuove riforme si aprono ora le prospettive di una certa stabilità. Abbiamo adottato una legge per gli investimenti strategici. Quelli dall’estero sono facilitati, soprattutto nel settore minerario, dell’energia, dell’agricoltura, nelle stazioni sciistiche.
Però nel contempo occorrerebbe frenare la fuga di cervelli dal Kosovo!
Questo fenomeno c’è in Kosovo ma anche in altri paesi. Ma gradualmente la gente sta rientrando. Così ora abbiamo l’obbligo di creare migliori condizioni di vita e di lavoro, grazie alla formazione che è il nostro maggior investimento. Anche per l’economia e i posti di lavoro.
Il Kosovo rimane ancora legato a problemi quale corruzione e crimine organizzato. Quando sarà possibile vedere finalmente una svolta?
Il Kosovo sta cambiando. Sono appena rientrato da colloqui con i leader europei a Bruxelles (Juncker, Tusk, Tajani…). Sono rimasti impressionati di fronte alla nostra lotta contro la corruzione ed il crimine organizzato. Che stiamo portando avanti in modo completo. E questo tutto grazie alle istituzioni locali, non a quelle internazionali. E sì, si deve fare di più.
Per esempio?
Andremo avanti senza interruzioni. Abbiamo riscontrato dei vuoti a livello legislativo. Ho lanciato la riforma della giustizia. Ora la gente riconosciuta colpevole deve anche essere davvero condannata.
Radiogiornale/Red.MM