Nonostante l’emergenza pandemica e la guerra in Ucraina è convinzione diffusa, tra gli economisti britannici, che non sia troppo presto per una prima stima sull’impatto della Brexit. E – a due anni dall’uscita del Regno Unito dal mercato unico e dall’unione doganale – il bilancio, seppur parziale, assomiglia ad un “atto di autolesionismo economico”. Un giudizio suggerito dagli attuali parametri macroeconomici, che rivelano lo stato di profonda difficoltà in cui versa il Regno, alle prese con l’inflazione più alta degli ultimi quarant'anni.
Ovviamente la Brexit non è l’unica responsabile della crisi economica, ma sono altrettanto evidenti le sue responsabilità. Nel 2016 il volume dell’economia britannica equivaleva al 90% di quella tedesca, oggi non arriva al 70%. Un ridimensionamento riconducibile innanzitutto alla svalutazione della sterlina, che dal referendum del 2016 ha perso quasi il 20%. Con conseguente rincaro delle importazioni, a livello di interscambi commerciali, e perdita del valore salariale (circa 2,9%). Si calcola che ogni famiglia del Regno abbia visto il proprio budget domestico ridursi di circa mille franchi all’anno.
Regno Unito, economia in difficoltà
Telegiornale 31.01.2023, 12:30
Nuovi ostacoli
Il declino degli scambi attraverso la Manica, rallentati anche dall’emergenza sanitaria, è attestato attorno al 20%. Una riduzione non compensata dalle esportazioni, più vantaggiose per l’impoverimento della valuta nazionale, ma azzoppate dai nuovi ostacoli logistico-economici incontrati dalle piccole e medie aziende britanniche. Nonostante l’accordo di libero scambio sottoscritto dai due blocchi, gli investimenti sull’isola sono in costante calo, nettamente inferiori alla media europea. Anche a causa della crisi della manodopera: la stretta sull’immigrazione ha privato ampi settori commerciali (edilizia, hospitality, sanità) di manodopera basso costo.
Previsioni negative
Secondo uno studio della London School od Economics, la Brexit finora è costata almeno 6 miliardi di spesa alimentare i più, a causa dell’aumento dei prezzi del cibo, cresciuti in media del 3%. Rincari che i 71 nuovi accordi commerciali, sottoscritti da Downing Street con altrettanti Stati nel mondo, non hanno potuto pareggiare. Primo perché si è trattato nella stragrande maggioranza dei casi di trattati commerciali risalenti ai tempi dell’affiliazione all’UE. E poi perché quelli più enfatizzati dalle autorità (con Giappone, Nuova Zelanda e Australia) avranno un impatto sul PIL britannico, non prima del 2035, pari solo al 0,08%.
Irrilevanti così come i progressi nei negoziati con gli Stati Uniti, l’unico Paese che potrebbe – in caso di accordo commerciale favorevole - invertire l’attuale tendenza. Perché se il presente non induce certo all’ottimismo, il futuro appare ancor più carico di incognite e nuove sfide. Secondo le stime di un organo governativo, il PIL si ridurrà almeno del 4%, smarrendo nei prossimi anni 110 miliardi di franchi. Una previsione fosca che trova conferma in quella della Banca d’Inghilterra, secondo cui la produttività nazionale è destinata a calare del 3%.
La Brexit fa male
Telegiornale 26.01.2023, 21:00