Analisi

Corea del Sud, l’arresto di Yoon non ferma la crisi

Il fermo del presidente, accusato di insurrezione, ha scatenato reazioni contrastanti nel Paese, tra chi esulta e chi teme nuovi rischi per la democrazia

  • 3 ore fa
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Yoon è stato portato in un centro di detenzione dopo essere stato interrogato sulla sua breve imposizione della legge marziale

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Di: Lorenzo Lamperti 

C’è chi ha speso lacrime di gioia, con un sospiro di sollievo dopo un incubo lungo 43 giorni. C’è invece ha speso lacrime di sconforto, col timore che i rischi per il Paese comincino solo adesso. La Corea del Sud vive con animi contrapposti l’arresto del presidente Yoon Suk-yeol.

Nelle immagini diffuse senza sosta dai media nazionali, girate all’esterno della residenza presidenziale poco dopo la conclusione delle operazioni di polizia, sembrano non lasciare dubbi sulla divisione interna al Paese: da una parte chi esulta, dall’altra chi impreca. In realtà, tutti i sondaggi sembrano confermare che la grande maggioranza dell’opinione pubblica (circa il 70%) non ha mai perdonato Yoon per l’imposizione della prima legge marziale dell’era democratica della Corea del Sud. Un evento traumatico che ha riaperto ferite del passato che sembravano ormai rimarginate.

Dopo la messa in stato d’accusa approvata dal parlamento e l’immediata sospensione del presidente conservatore dai suoi poteri, la situazione sembrava potersi cristallizare, in attesa della decisione della Corte costituzionale, chiamata entro metà giugno a rendere definitiva la destituzione di Yoon oppure ad annullarla. Non è stato così. Yoon si è sempre più arroccato sulle sue posizioni, rifiutandosi di farsi interrogare dagli inquirenti che hanno aperto un’indagine a suo carico con l’accusa di insurrezione. Le forze di sicurezza presidenziali, che dipendono dal capo dello Stato fino alla sua destituzione definitiva, hanno negato la possibilità di perquisire i suoi uffici. Di più. Yoon, barricatosi nel complesso presidenziale dal 12 dicembre, ha ribadito in più occasioni che la legge marziale era un “atto di governo legittimo” per proteggere la democrazia sudcoreana dalle “forze anti statali e vicine alla Corea del Nord”, il modo in cui etichetta l’opposizione del Partito Democratico.

L’atteggiamento di Yoon ha portato ad aspre critiche anche dei media conservatori, che non hanno avuto timore di sottolineare i comportamenti deleteri per una democrazia ancora giovane e che si è improvvisamente scoperta istituzionalmente fragile. In questo contesto nascono il primo tentativo fallito di arresto del 3 gennaio e il secondo tentativo andato a buon fine, grazie anche al rifiuto di diversi uomini delle forze di sicurezza di opporsi fisicamente ai circa tremila agenti di polizia giunti sul posto per eseguire il mandato.

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Circa 3000 agenti sono giunti sul posto per eseguire il mandato d'arresto

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Nonostante l’arresto, la vicenda è lungi dall’essere chiusa. Yoon non pare intenzionato a collaborare, né a riconoscere quello che per molti è stato un tentativo di golpe militare, che secondo gli inquirenti prevedeva anche l’utilizzo della forza contro i parlamentari di opposizione e una potenziale crisi militare indotta con la Corea del Nord come scusa per sospendere i diritti all’attività politica, agli assembramenti pubblici e i diritti della stampa. Anzi. Il Partito del Potere Popolare di Yoon si è spaccato sulla sorte del presidente, che si è avvicinato sempre di più agli ambienti dell’estrema destra radicale. Il tutto promuovendo teorie complottiste su presunte frodi alle elezioni legislative dello scorso aprile, in cui l’opposizione ha conquistato una schiacciante maggioranza parlamentare.

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I sostenitori di Yoon hanno adottato una serie di slogan trumpiani come “Stop the Steal”

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I sostenitori di Yoon hanno adottato una serie di slogan trumpiani come “Stop the Steal”, utilizzato nel 2020 per disconoscere la vittoria alle urne di Joe Biden e creare il clima che ha portato all’assalto del Campidoglio. Ai supporter del leader sospeso accorsi per giorni di fronte alla residenza presidenziale per provare a impedirne l’arresto, sono state regolarmente distribuite bandierine della Corea del Sud e degli Stati Uniti, così come cartelli con slogan ostili alla Corea del Nord e alla Cina. Il tentativo è quello di presentare l’opposizione come una forza politica vicina al regime di Kim Jong-un e filo cinese, in grado di mettere a repentaglio l’alleanza trilaterale con Usa e Giappone. Un argomento che sta facendo in parte leva. Lee Jae-myung, leader dell’opposizione, ha posizioni inusualmente radicali sia in materia di politiche economico-sociali che in politica estera, dove è molto più dialogante con Pyongyang e Pechino rispetto ai conservatori ma anche ai suoi predecessori progressisti.

Le due visioni di Corea del Sud sembrano difficilmente conciliabili. Il rischio che possano esacerbarsi gli animi, già messi alla prova da anni di veleni e accuse incrociate, esiste. Lo prova il fatto. Un segnale arriva dal fatto che, poco dopo l’arresto, un uomo si è dato fuoco vicino all’ufficio dove Yoon è stato interrogato. Mentre è nato un nuovo gruppo giovanile di estrema destra che si professa pro Yoon e si fa chiamare Baekgoldan, un nome che evoca ricordi inquietanti, visto che si trattava di una famigerata unità di polizia che in passato represse brutalmente i manifestanti pro democrazia. La crisi politico-istituzionale è anche sociale, con un divario di genere che è diventato un tema politicamente divisivo, visto l’utilizzo di temi anti femministi da parte di Yoon.

La società civile, intervenuta immediatamente a difesa del sistema democratico nella notte della legge marziale, spera di voltare presto pagina con la sentenza della Corte costituzionale e (forse) elezioni anticipate. La speranza è che ci si riesca prima che il seme dell’odio germogli e metta a rischio quella democrazia conquistata col sangue ormai 40 anni fa.

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Corea del sud, l'analisi di Lorenzo Lamperti

Telegiornale 15.01.2025, 12:30

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