Doveva essere il suo scacco matto all’opposizione, è diventato un boomerang che rischia seriamente di mettere fine alla sua presidenza. La legge marziale d’emergenza imposta da Yoon Suk-yeol ha scosso la Corea del Sud, colta alla sprovvista da una decisione inattesa da tutti, compresi gli uomini più vicini al presidente conservatore. Alla fine, il comando militare nominato da Yoon per imporre la legge marziale è stato dissolto quando ancora a Seul non è arrivata l’alba. Circa sei ore di ordinaria follia, in cui Yoon ha realizzato con le proprie mani quanto accusava di voler fare l’opposizione: sabotare la sua amministrazione.
Alla prima diffusione dei video della conferenza stampa serale del presidente, molti sudcoreani avevano pensato a un fake. D’altronde, il contesto in cui è nato il colpo di scena di Yoon è caratterizzato da veleni politici davvero profondi, in cui i complottismi e le accuse incrociate sono all’ordine del giorno. Il clima si è esacerbato a partire dal novembre 2022, nemmeno un anno dopo l’insediamento di Yoon. L’opposizione guidata dal Partito democratico di Lee Jae-myung, soprannominato il “Bernie Sanders sudcoreano”, ha più volte accusato di “tradimento” il presidente.
Motivo? Il veto opposto più volte contro le richieste di un’indagine indipendente sulla strage di Itaewon, quando nei festeggiamenti di Halloween del 2022 morirono circa 160 persone schiacciate dalla calca, con evidenti responsabilità di un sistema di sicurezza assai carente. Nessun membro del governo ha mai pagato per quanto accaduto. Dall’altra parte, Lee è sopravvissuto prima a un mandato d’arresto per l’accusa di corruzione, poi a un accoltellamento non fatale durante un comizio dello scorso gennaio. Negli ultimi giorni, era tornato alla carica contro Yoon dopo essere stato condannato in primo grado per dichiarazioni false durante la campagna elettorale delle presidenziali del 2022. Una condanna che, se confermata, potrebbe estrometterlo dalle prossime elezioni.
La legge marziale era stata dichiarata in diretta TV dal presidente sudcoreano Yoon Suk Yeol
Yoon ha motivato l’imposizione della legge marziale dalla necessità di “proteggere il Paese dalle forze comuniste nordcoreane”, accusando l’opposizione di “paralizzare il governo”. In realtà, la decisione non arriva per timore di un attacco imminente di Pyongyang o di serie infiltrazioni politiche di uomini del regime di Kim Jong-un, bensì da logiche interne. La causa scatenante è l’ostruzionismo che ha congelato la legge di bilancio, favorito dal fatto che il Partito Democratico ha una maggioranza notevole all’Assemblea nazionale, dopo aver vinto nettamente le Legislative dello scorso aprile. A convincere Yoon a compiere una mossa deplorata dal suo stesso partito potrebbero essere stati due elementi.
Primo: una solitudine sempre più forte e l’insofferenza verso il rischio di inazione causato dal suo status di “anatra zoppa”. Secondo: l’idea di sfruttare un contesto internazionale in cui sembrava potesse girare a suo vantaggio i crescenti timori sulla sicurezza, motivati dall’alleanza sottoscritta da Corea del Nord e Russia. Kim ha già inviato migliaia di soldati a combattere al fianco di Mosca, dopo aver firmato un accordo di mutua difesa con Vladimir Putin. A Seul, si teme che il leader supremo possa ottenere in cambio tecnologia satellitare e assistenza militare. Proprio nei giorni scorsi, Yoon aveva peraltro aperto per la prima volta al possibile invio diretto di armi all’Ucraina, dopo aver ricevuto il ministro della Difesa di Kiev. Decisione che sarebbe impossibile senza la revoca di una vecchia norma che impedisce la fornitura militare a Paesi coinvolti in un conflitto.
La reazione politica e civile al contropiede di Yoon è stata però molto forte e decisa. Troppo bui i ricordi delle precedenti 12 leggi marziali imposte ai tempi della dittatura, spettri da subito cavalcati da un’opposizione che ora ambisce a riprendersi il palazzo presidenziale.
Il Parlamento sudcoreano ha approvato all'unanimità il rifiuto della legge marziale
Il naufragio della legge marziale mette la posizione di Yoon davvero in bilico. Il presidente si ritrova solo, dopo che anche gli Stati Uniti gli avevano chiesto di cedere alla richiesta di revoca avanzata dal Parlamento, convincendolo a mettere fine a qualche ora di silenzio. Ora, per lui il rischio di impeachment potrebbe diventare concreto. Le conseguenze sarebbero rilevanti per la postura internazionale della Corea del Sud. L’opposizione ha sempre criticato Yoon per essere troppo vicino agli USA e per aver chiuso al dialogo con la Corea del Nord. Di recente, lo ha definito “servo del Giappone”, per aver favorito il disgelo con Tokyo anche a costo di rinunciare alle pretese di risarcimento per gli abusi della dominazione coloniale nipponica. Una ferita che Yoon voleva rimarginare per rafforzare l’alleanza con Washington e fronteggiare Russia e Cina.
Non può sfuggire che la mossa di Yoon arriva in un delicato momento di transizione, in cui il prossimo presidente statunitense Donald Trump ha già inviato alcuni segnali di dialogo a Kim, nominando vice consigliere per la sicurezza nazionale Alex Wong, architetto dei summit di Hanoi e Singapore durante il primo mandato del miliardario alla Casa Bianca. Anche qui, Yoon temeva forse di restare tagliato fuori. In questa folle notte di inizio dicembre, però, rischia di essersi tagliato fuori da solo.
La Corea del Sud piomba nel caos
Telegiornale 03.12.2024, 20:00