“Da noi, qui a Gaza, non avranno altro che fuoco, morte e uccisioni” diceva il leader di Hamas Yayha Sinwar, in una registrazione del 2018. Tuttora introvabile, resta il decisore del movimento, ancora in grado di stabilire contatti con funzionari dell’organizzazione fuori da Gaza. Ma dopo un anno di offensiva dell’esercito israeliano per estirpare Hamas, cosa ne è rimasto? SEIDISERA della RSI lo ha chiesto a Guido Olimpio, giornalista del Corriere della Sera, esperto di intelligence.
“Possiamo dire che certamente Hamas è debilitata dall’offensiva massiccia israeliana, ha perso una gran parte dei dirigenti storici, colpiti anche all’estero, ha perso molti comandanti dei vari battaglioni che erano disseminati su un territorio non ampio, ma comunque una buona presenza. Gli israeliani sostengono di aver ucciso migliaia di miliziani, quindi diciamo così, che un anno dopo sicuramente Hamas è più debole sul piano militare. Ma come molti di questi gruppi di questi movimenti si è riorganizzata e punta sull’unica tattica che può fare, che è quella della guerriglia, usando ovviamente la grande rete di tunnel”.
L’esercito israeliano sostiene di aver decimato le forze combattenti di Hamas. Di che cifre stiamo parlando allora?
“I numeri sono variabili perché Hamas è un movimento, non un esercito con delle cifre precise. Gli israeliani sostengono di aver ucciso 14’000 miliziani. Non sappiamo se sono tutti questi, forse la metà, forse di più, ma sui numeri sarei molto cauto perché probabilmente nei combattimenti sono intervenuti anche dei volontari, persone che non erano parte ufficiale di Hamas ma che comunque sostenevano e sostengono Hamas”.
Israele persegue la strategia del decapitare il movimento di colpire i suoi leader. Con quali risultati?
“Il capo militare più importante era Mohammed Deif, che secondo gli israeliani è stato ucciso. Poi una serie di collaboratori come Marwan Issa e soprattutto i comandanti di battaglione, comandanti di aree ben precise. Quindi Israele è andato a colpire queste figure. In più è andato a colpire la cupola politica, anche all’estero, come quando ha ucciso a Teheran Ismail Haniyeh e quando ha ucciso el Arouri a Beirut. Questo perché anche voleva cercare di togliere di mezzo le figure politiche.
Attualmente si pensa che il movimento sia guidato da Sinwar e da suo fratello Mohammed, più dei militanti che hanno rimpiazzato le perdite. Però insisto su un aspetto: i movimenti come Hamas e anche l’Hezbollah sono stati concepiti per sopravvivere alla perdita dei capi e dei leader. La storia proprio di Hamas insegna che è sopravvissuta a decapitazioni pesanti, il suo fondatore, lo sceicco Yassin, è stato ucciso, e così anche chi l’ha sostituito. Però ormai sono decenni che è sempre lì. Qual è il punto? Che Hamas non è solo un movimento, ma un’idea. E le idee sono difficili da sconfiggere militarmente”.
La popolazione palestinese della Striscia di Gaza è stremata. Lo stiamo raccontando da un anno. Di che appoggio gode ancora Hamas presso la gente di Gaza?
“Io credo che comunque Hamas abbia un supporto. Sicuramente le distruzioni, le vittime, i morti fatti dai bombardamenti israeliani, ma anche dalla scelta così folle, estrema di Hamas, hanno creato non dico un dissenso, ma... delle domande le persone se le porranno. Al tempo stesso non c’è un’alternativa. Ricordo che ogni tanto si dice: coinvolgiamo l’Autorità palestinese, ossia quella che si richiama storicamente ad Arafat. Però deve avere un seguito. Tu non puoi creare delle soluzioni che non abbiano un appoggio sul terreno. Io credo che fino ad oggi, comunque, Hamas continui a rappresentare un simbolo, anche perché è l’unico gruppo che fa resistenza e anche perché Hamas piano piano ha eliminato tutti quanti gli altri gruppi”.