Quasi tutti i paesi che hanno partecipato alla XXI Conferenza sul clima delle Nazioni Unite (COP21) a Parigi hanno sottoscritto sabato il testo dell'accordo sul clima che prevede, tra le altre cose, misure concrete per mantenere il surriscaldamento del pianeta al di sotto dei due gradi centigradi: un passo definito enorme dall'amministrazione Obama, un accordo storico secondo il primo ministro francese Manuel Valls. Di seguito vi proponiamo il commento di un esperto: quello del meteorologo e climatologo italiano Luca Mercalli.
Luca Mercalli
Di Luca Mercalli*
"L'elemento che più ha caratterizzato i negoziati del clima a partire dalla conferenza del 1992 a Rio de Janeiro, è stato la lentezza. Lenta l'acquisizione di consapevolezza, lente le poche decisioni, lente le loro applicazioni. Oltre vent'anni persi nell'indugio e nei tentennamenti, con la sola parentesi del Protocollo di Kyoto come provvedimento concreto di riduzione delle emissioni, peraltro realizzato solo parzialmente da alcuni Paesi europei e disatteso da gran parte delle economie sviluppate che avrebbero dovuto rispettarlo. Ora, alla ventunesima conferenza, finalmente l'approvazione di un trattato universale, che coinvolge cioè tutti i Paesi del mondo, sia pure con modalità diverse, e che si dà obiettivi ambiziosi di contenimento dell'aumento termico da qui al 2100 anche al di sotto dei 2 °C.
Certo, è stato emozionante ascoltare il discorso commosso di Laurent Fabius e le parole incoraggianti di François Hollande: alle 19,30 di sabato 12 dicembre 2015, non c'è dubbio che sia stata raggiunta un'intesa epocale, mettere d'accordo 187 di 195 governi su un tema tanto cruciale quanto complesso scientificamente, socialmente ed economicamente, è stata - secondo il segretario delle Nazioni Unite Ban-Ki-Moon - l'impresa diplomatica forse più difficile della storia. Sono quindi giustificati i dieci minuti di applausi liberatori alla chiusura della conferenza, peraltro avvenuta con 24 ore di ritardo, dopo due settimane di febbrile attività, di giorno ma soprattutto di notte!
Ma tutto ciò, se certamente rallegra noi umani, in quanto rappresenta una rilevante svolta politica dopo un'inerzia ventennale, è tuttavia una ben modesta acquisizione per le rigide e ineluttabili leggi fisiche che governano l'atmosfera. Leggi con le quali non è possibile negoziare, nemmeno con l' “Indaba”, il metodo decisionale partecipato della cultura zulu proposto dal Sud Africa per sbloccare le trattative a Parigi.
Vero che ora abbiamo un pezzo di carta condiviso che sancisce l'intenzione di limitare a meno di 2 °C il riscaldamento globale entro il 2100 rispetto all'era preindustriale, ma per il momento le proposte di riduzione delle emissioni messe sul piatto dai vari Paesi non sono ancora sufficienti, e sommate insieme sono più vicine a 3 °C che a 2 °C. Questo è dunque solo un punto di partenza, che ha bisogno di essere consolidato da scelte molto concrete e rapide in termini di uscita dall'uso dei combustibili fossili, efficienza energetica, abbattimento degli sprechi e diffusione delle fonti rinnovabili, salvaguardia dei suoli, stop alla deforestazione, agricoltura sostenibile, contenimento del consumo di carne. Significa anni di lavoro, miliardi di pannelli solari, di auto elettriche, di turbine eoliche, di coraggiose tassazioni delle emissioni, e soprattutto di tanta educazione verso un nuovo percorso di sostenibilità globale compatibile peraltro con le differenze economiche e sociali di 7,3 miliardi di cittadini. Roba da far tremare i polsi, anche perché il tempo tecnico per piegare la curva climatica dai terribili 5 °C in più a fine secolo nel caso non si facesse nulla, ai meno preoccupanti 2 °C oggetto dell'accordo parigino, è poco, drammaticamente poco: una quindicina d'anni. Non scendo qui nei dettagli tecnici della diplomazia e burocrazia climatica discussi alla Cop21, forse qui sono superflui, e comunque sempre perfezionabili in un futuro speriamo molto prossimo.
Concludo questo ragionamento fatto a caldo sull'onda di speranza che giunge da Parigi con una metafora: per un attimo, fino a venerdì sera, leggendo i commenti a volte meschini di certi Paesi emergenti che ostacolavano il successo della conferenza per meri interessi locali, mi è sembrato di vedere l'umanità viaggiare su un aereo a corto di carburante e in procinto di precipitare, dove, invece di concordare tutti insieme un atterraggio di emergenza, si perde tempo a litigare tra chi ha volato in prima classe e chi è rimasto nella stiva. E' vero che le responsabilità storiche tra chi ha inquinato di più e chi deve ancora godere dei frutti dello sviluppo sono innegabili, ma ora la priorità è non schiantarsi al suolo. Quello che è stato deciso il 12 dicembre 2015 è senza dubbio un atto di saggezza collettiva, che mentre predispone l'inderogabile salvataggio dell'aeromobile, cercherà anche di offrire a tutti un buon paracadute sotto forma di finanziamenti e trasferimento tecnologico verso i Paesi meno abbienti e piani di adattamento per le conseguenze di quella parte di riscaldamento che non si potrà più evitare.
Come dire che nella planata finale sicuramente ci si farà un po' male, ma non troppo".
*Presidente della Società meteorologica italiana