Il numero dei combattenti detenuti nei campi di prigionia curdi assistiti dalle forze statunitensi cresce di giorno in giorno con il collasso dell'autoproclamato Stato islamico in Siria. Attualmente sono circa 800 di 50 nazionalità diverse, con 700 spose e circa 1'500 bambini, e i paesi europei in maggioranza non ne vogliono sapere di rimpatriarli come chiesto da Donald Trump. Del tema si è parlato lunedì nel corso della riunione dei ministri degli affari esteri, ma resta di competenza nazionale e non comunitaria come auspicato domenica dal Belgio, che ha deciso per ora di accogliere i bambini di meno di 10 anni. Gran Bretagna e Francia hanno già opposto un chiaro rifiuto: Londra ritiene che i crimini vadano puniti dove sono stati commessi, ha fatto sapere un portavoce di Theresa May, mentre la ministra della giustizia Nicole Belloublet ha detto a France 2 che Parigi continuerà a valutare "caso per caso".
Berlino sarebbe più propensa a collaborare, ma "l'operazione è estremamente difficile", manca "un partner a cui appoggiarsi" anche per avere informazioni per garantire un perseguimento rapido dopo il rientro in patria.
"Una potenziale bomba"
"È un tema di cui si parla dal 2014-15 e già nel 2016 si assisteva al crollo delle partenze e al rientro di molti. Ci sono paesi dove almeno il 50% di coloro che hanno partiti sono nel frattempo tornati”, spiega Matteo Bressan, direttore dell'Osservatorio per la stabilità e sicurezza del Mediterraneo allargato. Si tratta di “una bomba incredibile” con potenziale esplosivo per i prossimi 10 anni, ma l’approccio “non è uniforme fra i vari paesi europei”. Ognuno ha cercato di agire con strumenti preventivi dopo gli attentati in Europa e con programmi di deradicalizzazione e assistenza a coloro che tornano.
RG 18.30 del 18.02.2019 L'intervista di Lucia Mottini a Matteo Bressan, della Nato Defense college Foundation
RSI Info 18.02.2019, 19:27
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“Il carcere come soluzione”, spiega Bressan, “non può essere considerato la via maestra, perché, come nell’esempio delle prigioni irachene negli anni 2000, è proprio il luogo dove si è diffusa questa ideologia”. La definizione “foreign fighter”, inoltre, “non presuppone necessariamente che chi è partito sia un terrorista”. Come giudicare per esempio le donne partite al seguito di combattenti? O i figli nati in quelle circostanze?
Trump spaventa gli Stati europei
Telegiornale 18.02.2019, 21:00