Stephan Juffa, 67 anni, è un israeliano di Metulla, la cittadina dello Stato ebraico più vicina al Libano e più danneggiata nella guerra con Hezbollah. Juffa ha lasciato la sua casa sul confine nel dicembre 2023, quando era stata colpita in pieno da due missili del movimento sciita libanese, entrato in guerra al fianco di Hamas all’indomani dell’attacco del 7 ottobre. Da allora ha vissuto da sfollato in sistemazioni messe a disposizione dallo Stato. Juffa sa l’italiano perché da giovane ha vissuto per 11 anni in Svizzera.
Da marzo 2025 il governo israeliano ha iniziato a incoraggiare attivamente il ritorno dei circa 80’000 sfollati dal fronte settentrionale, offrendo compensazioni economiche ai residenti e riaprendo le scuole. Juffa ha lasciato l’albergo dove aveva soggiornato per 14 mesi per rientrare a casa. “Adesso si deve ricostruire tutta questa zona e non solo le case, i muri, ma anche le persone”, ha detto nel giorno del rientro. “In particolare per i bambini [è molto forte] l’impatto psicologico di essere stati [a lungo] senza casa, e senza identità”.

Stephane Juffa a Metulla
Dopo qualche mese dall’entrata in vigore del cessate il fuoco con Hezbollah la situazione sembrava stabile. Ma ora la ripresa delle ostilità sul fronte meridionale di Israele, con centinaia di morti nei bombardamenti dell’IDF a Gaza in seguito al rifiuto di Netanyahu di procedere alla fase due dell’accordo di cessate il fuoco con Hamas, rende le prospettive di calma più aleatorie. “Su 2’500 abitanti sono forse 100 le persone che sono tornate nel villaggio dalla fine della guerra”, racconta Juffa. “La gente qui si aspettava un risultato militare molto più chiaro: Israele ha vinto la guerra, ma Hezbollah non è finito, e potrebbe ricostruirsi”, dice.

Truppe israeliane vicine al confine con il Libano
Fra gli israeliani di questa fascia di territorio è diffusa la critica secondo cui Netanyahu avrebbe dovuto affondare il colpo contro Hezbollah molto più in fretta, senza aspettare lo scorso autunno e l’allentamento del conflitto di Gaza. In questo modo si sarebbero limitati i danni nella regione di confine e sarebbe accelerato il rientro dei residenti. “Non c’era una ragione strategica per aspettare così tanto tempo prima di agire, è stato un terribile errore”, dice Juffa.
Davanti alla sua casa si vedono i villaggi libanesi completamente distrutti, in particolare quelli sciiti, considerati più vicini a Hezbollah (la distruzione è di minore entità in quelli cristiani). “È duro dire così, ma almeno hanno capito che fare la guerra ha delle conseguenze. La guerra non è un gioco”, commenta Juffa.

La cucina di Stephane Juffa dopo un anno e mezzo di abbandono
Al limitare del villaggio si vede uno dei cinque punti all’interno del territorio libanese da cui l’esercito israeliano, malgrado l’accordo di cessata del fuoco, non si è ancora ritirato. Mercoledì 9 aprile un funzionario di Hezbollah ha detto all’agenzia Reuters che il ritiro da queste 5 posizioni e l’interruzione degli attacchi israeliani in Libano sono un prerequisito per discutere un eventuale disarmo della milizia. Il nuovo presidente libanese Joseph Aoun, vicino agli Stati Uniti, ha promesso di ottenere il monopolio statale delle armi dopo il suo insediamento lo scorso gennaio.
A Metulla si vede anche che Israele ha eretto una nuova barriera di separazione con il Libano, qualche centinaio di metri oltre il confine semi-ufficiale noto come linea blu. Per l’esercito le posizioni militari e le nuove infrastrutture di sicurezza sono necessarie per mantenere la calma nei villaggi israeliani. Ma, malgrado queste misure, a Metulla due settimane fa gli allarmi antimissilistici sono tornati a suonare.