Mancano ancora i dati definitivi, ma la vittoria del centrodestra alle elezioni politiche del 25 settembre è chiara, indiscutibile. Si stima che la coalizione formata da Meloni, Salvini e Berlusconi possa arrivare al 44%, numeri che gli garantirebbero un’ampia maggioranza in parlamento. La distanza con il centrosinistra è incolmabile, fermo a circa il 26%. Ma vediamo i punti principali emersi da questo voto.
REGINA GIORGIA
Ampiamente previsto e altrettanto clamoroso. Il successo elettorale di Giorgia Meloni apre una fase nuova e inedita nella politica italiana: mai un partito di destra è riuscito ad ottenere un consenso così ampio, che gli apre le porte alla Presidenza del Consiglio dei ministri. L’Italia svolta a destra, in maniera netta, in modo molto più accentuato di quanto non fece nel 1994 con l’ascesa al governo di Silvio Berlusconi, a capo di un esecutivo di centrodestra, di ispirazione liberale. Oggi la leader di Fratelli d’Italia usa una nuova definizione, vuole essere il riferimento dei conservatori italiani. Ci è riuscita sbagliando poco o nulla in campagna elettorale, nessuno scivolone, e portando verso di sé elettori delusi di altri partiti: soprattutto dalla Lega, ma anche da Forza Italia e dal Movimento Cinquestelle. Anche se in politica da quando aveva 15 anni, Giorgia Meloni è percepita da molti come una figura nuova, a cui molti riconoscono la coerenza della linea politica, la scelta di rimanere all’opposizione anche durante il periodo di governo di Mario Draghi. Ora dovrà dimostrare molto di più: avere una classe dirigente all’altezza, saper gestire alleati a volte scomodi come Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, di dare garanzie all’Europa e ai mercati internazionali per evitare una possibile instabilità per il Paese. Vincere le elezioni, in confronto, è stato relativamente facile. La partita che si apre ora, se dopo la metà di ottobre riceverà dal capo dello Stato il mandato di formare un nuovo Governo, sarà molto, molto più complessa. Il peso dell’eredità di Mario Draghi, soprattutto a livello internazionale, è enorme.
PROFONDO VERDE
Come si spiega il successo di Giorgia Meloni? Vi invitiamo a fare un breve tour nel nord Italia, in passato territorio leghista e dove già alle elezioni comunali di giugno era emerso un dato chiaro: il nuovo riferimento del centrodestra è la leader di Fratelli d’Italia, non più il leghista Matteo Salvini.
In seno alla destra la Lega di Matteo Salvini ha subito un'emorragia di voti
Rispetto al 17% del 2018, i voti per la Lega sono quasi dimezzati. Le prime analisi sui flussi elettorali stimano che il 40% degli elettori che cinque anni fa hanno votato Lega, ora si sono spostati verso Fratelli d’Italia. La Lega è comunque salita sul carro dei vincitori, è protagonista della coalizione di centrodestra, ma con un peso politico decisamente minore di quanto sperato. Toccherà al leader Matteo Salvini riuscire a risollevare un partito uscito ammaccato dal voto.
PARTITO DEMOCRATICO
I numeri, in questo caso, contano davvero poco. Certo, certificano una sconfitta palese. Per il Partito Democratico essere al di sotto del 20% significa aver perso nettamente le elezioni. Ma quello che emerge con ancora più chiarezza è lo sbaglio strategico sull’impostazione di tutta la campagna elettorale. Hanno dovuto competere con un avversario che mai, dai tempi di Berlusconi, è stato così agli antipodi, quei Fratelli d’Italia che nel simbolo portano la fiamma tricolore, evidente rimando al partito di ispirazione neofascista, il Movimento sociale italiano (seppur Giorgia Meloni ha detto chiaramente di non volere nostalgici nel suo partito).
Uno degli sconfitti: Enrico Letta
Il PD ha giocato da subito questa carta, sullo schema buoni contro cattivi, cercando di alzare i torni, definendo gli avversari un pericolo democratico per l’Italia. Una tattica che si è ritorta contro al PD. Il pericolo che qualcosa di grave potesse accadere con la salita al governo di Giorgia Meloni non ha fatto breccia negli italiani, è stato ritenuto semplicemente non credibile. E il PD ne ha pagato le spese. Le sue proposte politiche hanno inoltre dovuto rivaleggiare con quelle del Movimento Cinque Stelle sui temi sociali e del lavoro, e non è infine riuscito a creare una coalizione (con il M5S o con il nuovo centro di Renzi-Calenda) in grado di competere con il centrodestra. Era una partita difficile, certo, il Partito Democratico per senso di responsabilità ha difeso fino all’ultimo il governo Draghi, mentre gli altri partiti lo hanno via via sfiduciato, guadagnando consensi. Il PD non è però riuscito a cambiare marcia, e ora si lecca le ferite.
RITORNO ALLE STELLE
Dalle stelle alle stalle, ma con un biglietto di ritorno per risplendere in cielo. Il Movimento Cinque Stelle dopo la crisi di governo di luglio era crollato nei consensi, ha subito una scissione (l’ex capo politico Di Maio ha lasciato il partito) e le previsioni di molti analisti erano fosche. C’è chi ne aveva sentenziato la morte cerebrale.
Seppur lontani dai fasti del 2018, i Cinque Stelle si sono risollevati
E invece sono bastati due mesi di campagna elettorale per tornare in vita, non a brillare come nel 2018 (presero il 32%) ma a raccogliere consensi sufficienti per confermarsi terza forza politica del paese, attorno al 15%. Una scommessa vinta, dal loro punto di vista, la crisi del governo dal loro innescata aveva proprio l’obiettivo di rilanciare la loro azione politica. Hanno puntato sui temi sociali, del lavoro, sul reddito di cittadinanza. Battaglie identitarie, e gli elettori hanno risposto positivamente. La parabola dei Cinquestelle non è terminata e ora li aspetta una fase di opposizione al Governo di centrosinistra, e per il loro DNA tornare ad essere totalmente partito di piazza, e non di governo, è un ritorno all’essenza primaria.
MISTERO AL CENTRO
Il nuovo centro immaginato dal duo Matteo Renzi – Carlo Calenda è rimasta un’idea, hanno raccolto molto meno del 10%, soglia minima se volevano giocare un ruolo da protagonisti nella nuova fase politica.
Matteo Renzi
Non è un progetto fallito, ma di certo non è decollato. Intercettare i voti moderati di centro è stato il sogno di molti negli ultimi decenni, ed è rimasto tale. L’elettore moderato esiste, ma non ha un unico riferimento. Forza Italia di Silvio Berlusconi è riuscita a raccogliere poco più dell’8% dei consensi. Il centro esiste, ma è ancora diviso.
CROLLO DELL’AFFLUENZA
Se questo è il quadro politico uscito dalle elezioni, è doveroso però fare un passo di lato, per cambiare prospettiva. Perché quella è la fotografia scattata da poco meno due terzi degli aventi diritto: l’affluenza è crollata vertiginosamente, al 64%, molto inferiore al 73% del 2018. Segnale, forse, che la spirale politica in cui si è avvitata l’Italia negli ultimi mesi ha portato a una maggiore disaffezione degli elettori.
Affluenza in calo di nove punti
Il governo Draghi, andato in crisi a luglio, era il terzo formato dopo le elezioni del 2018, dopo gli esperimenti degli esecutivi Lega-Movimento Cinque Stelle e Partito Democratico-Movimento Cinque Stelle. Draghi, in carica fino alla formazione di un nuovo governo, è a capo di un esecutivo di “quasi” unità nazionale (tra i grandi partiti non è stato appoggiato solo da Fratelli d’Italia), per molti ha rappresentato la speranza di stabilità, di efficacia nel traghettare l’Italia fuori dalle difficoltà del dopo pandemia e dagli effetti negativi della guerra in Ucraina. Eppure anche quest’ultimo tentativo non ha retto alle pressioni politiche che hanno scatenato la crisi, scatenata dal Movimento Cinque Stelle, con anche Lega e Forza Italia che in seguito non hanno rinnovato la fiducia a Draghi. Un finale che ha creato molto malcontento in diverse fasce della popolazione, e che forse ha fatto perdere ancora di più la fiducia nelle istituzioni. E ieri, molti cittadini, hanno deciso di rimanere a casa.