Conflitto fra Hamas e Israele

Hamas come l’ISIS ? Un’equazione sbagliata

Fra narrazioni insistenti, e notizie che restano prive di conferme, qual è il peso della disinformazione nel conflitto in atto? Il punto con un esperto

  • 27 ottobre 2023, 06:03
  • 27 ottobre 2023, 10:25
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L'equiparazione di Hamas allo Stato Islamico è ormai uno dei motivi dominanti nella narrazione del conflitto. Ma le cose stanno davvero così?

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Di: Alex Ricordi

L’asserita equivalenza fra Hamas e lo Stato Islamico (ISIS) rappresenta ormai uno degli elementi più ricorrenti nelle narrazioni del conflitto che oppone il movimento radicale palestinese a Israele. Ma le cose stanno davvero così? C’è realmente un’identità di fondo fra Hamas, i suoi obiettivi e la sanguinaria organizzazione che arrivò a destabilizzare il Medio Oriente nello scorso decennio? Su questi e altri interrogativi verte la nostra intervista a Bruno Ballardini, saggista, già docente universitario ed esperto di comunicazione strategica. A lui si deve uno studio in profondità sulla propaganda dello Stato Islamico (“ISIS: il marketing dell’apocalisse” - 2015), che evidenziò quanto quest’organizzazione avesse adottato sofisticate modalità di comunicazione per veicolare l’orrore della sua ideologia. Con lui facciamo ora il punto sul peso di una disinformazione, che anche sullo sfondo di questo conflitto si sta facendo certamente sentire.

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L'ISIS, intorno alla metà dello scorso decennio, arrivò a controllare in Medio Oriente una vastissima estensione di territorio

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Dopo il brutale attacco sferrato contro Israele, Hamas viene ormai universalmente qualificata come un’organizzazione terroristica e assimilata quindi all’ISIS. Ma sul piano della propaganda, e segnatamente dei contenuti messi online, quali analogie e differenze vanno inquadrate, a suo avviso, fra la comunicazione strategica dell’una e dell’altra organizzazione?

È la narrativa ufficiale diffusa dai media israeliani, ma anche questo accostamento è propaganda e spiego perché. Innanzitutto, va chiarito che Hamas non c’entra nulla con l’ISIS che tra l’altro è stato nemico dei palestinesi, perché non ha mai tollerato il loro Islam moderato, e nemico anche dello stesso Hamas che ha obiettivi militari e non religiosi. Hamas è nato nel 1987, mentre l’ISIS è nato nel 2014 (staccandosi da al-Qaida). È un paragone molto superficiale e mi stupisco che molti abbiano già dimenticato o mai compreso le differenze. La propaganda di Hamas è sempre stata incentrata esclusivamente sul territorio palestinese con l’obiettivo di reclutare quanti più palestinesi possibile nella battaglia contro Israele, cioè spingendoli alla guerra. La propaganda dell’ISIS invece è stata una macchina infinitamente più complessa, concepita per produrre una comunicazione globale. In primo luogo, ha adottato una strategia di comunicazione rivolta a due obiettivi esterni, le autorità occidentali e gli aspiranti jihadisti che vivono in Occidente ai quali offriva la “terra promessa” islamica, il Califfato. In secondo luogo, l’ISIS ha indirizzato altre tre strategie di comunicazione interna allo Stato Islamico: una rivolta ai jihadisti, una rivolta alla popolazione che aveva accettato l’autorità del Califfo, e una rivolta alla popolazione che ancora si doveva convertire. L’ISIS, oltre alle sue “case editrici”, ha disposto di decine e decine di case di produzione video che producevano a getto continuo veri e propri film, documentari, cortometraggi, perfino spot, e telegiornali, con un palinsesto degno della CNN. In confronto, la propaganda di Hamas sembra fatta col ciclostile… A parte canali radio, produce rarissime uscite video per annunciare la liberazione di ostaggi, o per far leva sui palestinesi che non ne vogliono sapere, utilizzando militanti che recitano il dolore della popolazione e mostrando le vittime dei bombardamenti, usando per le riprese gli stessi palestinesi che poco prima avevano utilizzato come scudi umani. Più raramente diffondono video di esecuzioni di prigionieri, come si usa ormai in qualsiasi conflitto militare. Ma non c’è assolutamente paragone con gli snuff movies dell’ISIS e la loro crudeltà.

Bruno Ballardini

Bruno Ballardini è autore di "ISIS: il marketing dell'apocalisse", pubblicato nel 2015

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Anche la notizia dei bambini sgozzati è stata smentita più volte

Bruno Ballardini, esperto di comunicazione strategica

Hamas non ha mutuato nulla dall’ISIS perché non è in grado di farlo tecnicamente, non si è dotato di un vero e proprio “ministero della comunicazione” come fece lo Stato Islamico, e le uniche riprese “cruente” che diffonde sono quelle di qualche esecuzione o delle vittime dei bombardamenti. Anche la notizia dei bambini sgozzati è stata smentita più volte; gli unici a insistere di averli visti erano i media americani e una testata israeliana appartenente alla destra vicina a Netanyahu. Tutti gli altri riportano di quei video per sentito dire e senza averli mai visti. Io sono stato a contatto dei supporter dell’ISIS nel dark web per ben sette mesi e mi sono visto e ho raccolto tutti i loro materiali di propaganda. I video li ho visti uno per uno dall’inizio alla fine. E sono scandalizzato dal fatto che nessun giornalista abbia fatto nemmeno la centesima parte di questo lavoro, riportando soltanto ciò che altri media riportavano senza mai verificare nulla. La storia dei bambini sgozzati fa orrore da sola e nessuno avrebbe voglia di andare a verificare: quindi la notizia passa così senza filtri, creando orrore nell’opinione pubblica. E il risultato è assicurato: giustificare qualsiasi violenza e crimine compia oggi Israele come risposta. E comunque tutto questo non è minimamente paragonabile all’orrore vero che l’ISIS ha prodotto quasi quotidianamente per anni e che non ha avuto nessun problema a mostrare e a diffondere. 

L’ISIS si è sempre caratterizzata per un messaggio, fanatico, volto alla globalizzazione dell’Islam. L’antioccidentalismo e il fondamentalismo di Hamas, invece, si collocano pur sempre nell’alveo della questione palestinese. Ma ora cosa è cambiato, dopo l’attacco a Israele? In che misura la comunicazione strategica di Hamas potrebbe debordare verso un jihadismo sistematico come quello propugnato dall’ISIS?

Questa svolta non avverrà: l’ISIS aveva creato un jihadismo fanatico mirato esclusivamente a stabilire la superiorità dell’Islam wahabita su tutto l’Islam, e da qui ripartire poi per stabilire la superiorità dell’Islam sul resto del mondo. Hamas non potrà mai riuscire a fare la stessa cosa con i palestinesi perché i palestinesi non amano l’estremismo religioso, e non seguirebbero mai una svolta del genere. Certo che è duro resistere al richiamo della vendetta, ed è su questo che giocano sia Hamas che il governo israeliano esercitano da entrambe le parti una pressione costante. Ma i palestinesi che non hanno ceduto fino adesso, anche nelle peggiori condizioni di conflitto, perché dovrebbero farlo ora? Sanno benissimo che la vendetta di Israele sarebbe l’annientamento e la cancellazione definitiva della loro terra.

Hamas è bandita dai maggiori social network come Meta e X, già Twitter. Eppure, si segnala sempre una recrudescenza di contenuti illegali in rete, a sfondo terroristico e antisemita, specie attraverso Telegram e altri canali. Quanto questo dato può suffragare l’idea che anche Hamas abbia purtroppo imparato a inquadrare, e con efficacia, le “falle” delle nostre reti sociali?

Data la tendenza dei giornalisti a condurre ricerche insufficienti quando riportano eventi di guerra, a causa dell’urgenza del fornire informazioni rapide sulle piattaforme dei social media, Hamas ha cercato e continuerà senza dubbio a cercare di sfruttare questa vulnerabilità. Si è ridotto a farlo sui social media perché, come dicevo prima, non possiede un apparato dedicato alla propaganda, si affida come può alla dinamica della “viralità” che è tipica dei canali social, ma anche aleatoria, e non consente alcun controllo della circolazione del messaggio e nemmeno la possibilità di colpire obiettivi precisi. Basta dotarsi di un controllo più attento come stanno facendo tempestivamente le varie piattaforme e questo canale diventa inutilizzabile per i terroristi.

I conflitti, si sa, si consumano da sempre anche sul terreno della disinformazione. Ad attestare questo dato sono stati anche gli scambi di accuse sulle responsabilità per il razzo che ha colpito di recente un ospedale a Gaza. Ma quali sono i più diffusi espedienti volti a diffondere e ad alimentare, con video e altri mezzi, la disinformazione in rete? 

Dalla guerra in Siria a oggi abbiamo visto di tutto. Dagli ex ufficiali dell’esercito di Saddam passati dalla parte degli americani, colti fuori onda a registrare discorsi dell’ISIS che avrebbero di lì a poco recitato travestiti da jihadisti, cadaveri di jihadisti cui venivano modellati i muscoli facciali per far credere che fossero morti sorridendo alla visione del Paradiso che si spalancava a loro mentre morivano da martiri, Caschi bianchi che di giorno sembravano neutrali e di notte vestivano come jihadisti dell’ISIS, e così via. Oggi siamo in una nuova era per la disinformazione. Esistono fake già prodotti con l’intelligenza artificiale e questo diventerà lo standard. Nessuno sarà più in grado di distinguere. A ciò si aggiunge il fatto che molte agenzie di debunking non sono affatto neutrali e soprattutto non esiste una commissione al di sopra delle parti che verifichi l’operato delle agenzie contro le fake news, le quali dato il loro ruolo privilegiato, potrebbero perfino essere tentate dall’idea di “orientare” la propaganda fornendo a loro volta fake news. Chi ci assicura che non lo facciano già? Chi controlla le fonti di queste agenzie?

Internet e i social hanno distrutto lo sviluppo del senso critico nei giovani

Bruno Ballardini, esperto di comunicazione strategica

I social network, è notorio, presentano non poche vulnerabilità di fronte all’impatto di contenuti violenti. Ma è pur vero che negli ultimi anni hanno anche dovuto, su pressione degli Stati, aumentare il monitoraggio e gli strumenti (fact checking, censura, algoritmi ecc) per eliminare haters e incitazioni all’odio. Sono quindi sulla buona strada, per far fronte a questa ondata di contenuti violenti, che per molti versi è senza precedenti, oppure dovranno ulteriormente aggiustare il tiro e individuare nuove vie per non finire destabilizzati?

Mi dispiace doverlo dire ma non è con i filtri anti-haters che si ferma l’odio. L’odio esiste già fuori, nella realtà, e i media non hanno nessuna capacità educativa né in senso positivo, né in senso negativo perché nonostante ci siamo tutti entusiasmati all’idea dell’interattività, e quindi della possibilità di dialogare attraverso i nuovi media, la verità è che tutti continuano a usare i media interattivi in modo monodirezionale, cioè come la televisione. Ed è ormai assodato che la televisione è da sempre il medium ideale per la propaganda. È troppo tardi per arginare tutto questo. Trent’anni fa si parlava della necessità di una media education. Ma poi è stata attuata? La famiglia e la scuola sono rimaste totalmente spiazzate di fronte all’avvento dei nuovi media e nel frattempo Internet e i social hanno distrutto lo sviluppo del senso critico nei giovani. Non vorrei essere pessimista, ma lo sono.

Il Faro: L'arma della comunicazione

Telegiornale 21.10.2023, 20:28

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