Ariel Bernstein ha 29 anni, è nato a Gerusalemme ed è un ex-soldato, arruolato dal 2012 al 2015. Nel 2014 ha partecipato all’operazione militare a Gaza. Oggi è ricercatore presso “Breaking the Silence”, un associazione di ex militari israeliani che, come dice il nome, vogliono rompere il silenzio e denunciare le violenze e i soprusi contro la popolazione.
Nel 2014 tu eri nell’esercito come soldato e sei stato impegnato nell’operazione militare di terra a Gaza. Quali sono i tuoi ricordi e quali sono le maggiori difficoltà di un’operazione simile?
“I ricordi che ho sono i momenti in cui attraversi il confine, sapendo che stai andando in un posto densamente popolato, pieno di persone o combattenti che vogliono farti del male e tu devi proteggere te stesso e il tuo gruppo. Ricordo la profonda paura che ci fossero trappole o imboscate ad attenderci in ogni angolo. Quindi quando penso ai soldati di adesso che stanno aspettando di entrare, posso sentire veramente il loro stato di tensione e di ansia”.
Credi che questa operazione militare di terra sia necessaria? Oppure credi che ci possa essere un’altra via, un’altra soluzione pacifista?
“Io non sono un pacifista. Credo che se molte vite sono state salvate soprattutto nel giorno più nero, il 7 ottobre, è stato grazie alle forze di sicurezza. Ma francamente credo che ci siano anche state raccontate delle bugie negli anni passati. Ci hanno detto che i militari avrebbero potuto risolvere i nostri problemi con i palestinesi, che se avessimo usato abbastanza forza e che se li avessimo dominati abbastanza, allora i nostri problemi sarebbero spariti. Quando in realtà le forze armate dovrebbero essere usate solo come soluzione temporanea di difesa e dall’altro lato però bisognerebbe avere la volontà di parlare di questioni scomode, di cercare una soluzione politica. Altrimenti l’escalation andrà semplicemente avanti fino all’ultimo soldato”.
Quindi tu pensi che ci debba essere una soluzione politica, prima di tutto, piuttosto che militare? Se ho ben capito. Ma come si può pensare aduna soluzione politica se dall’altra parte c’è un’organizzazione come Hamas che è stata capace di commettere dei crimini di una tale brutalità?
“Io non sono un esperto di questioni militari, sono solo un cittadino preoccupato, un ex soldato e un attivista che crede nel dialogo. Certo, quando sei nel mezzo di una guerra, forse non è il momento di pensare a soluzioni di lungo termine. Ma che cosa succederà dal giorno dopo? Ok, bisogna mettere i civili in salvo, ma se non pensi al dopo, alla soluzione, se ti rifiuti di pensare al futuro, allora quello che stai offrendo ai tuoi cittadini non è altro che la vendetta. Se tutto quello che puoi offrire non sono altro che cadaveri di altre persone e famiglie, allora non stai dando abbastanza. Io penso invece che noi meritiamo di più. E credo che nulla di buono possa sbocciare in mezzo ad altro sangue”.
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