Da lunedì mattina, Joshua Wong - una delle figure più note del movimento pro-democrazia che lo scorso anno ha infiammato Hong Kong - e altri due militanti di primo piano sono finiti in detenzione provvisoria. I tre sono accusati di aver organizzato manifestazioni illegali e proteste contro l’influenza della Cina sulla regione semi autonoma e hanno voluto dichiararsi colpevoli. Lo hanno fatto per ragioni tanto simboliche quanto pratiche.
Per i tre giovani militanti che stamani sono finiti in detenzione provvisoria è stato un modo di dire alla Cina e al resto del mondo che sono pronti ad assumersi la responsabilità delle loro azioni e soprattutto delle loro rivendicazioni politiche. Ossia che non si piegheranno e che continueranno a lottare per la libertà. Joshua Wong, Agnes Chow e Ivan Lam hanno ammesso di aver organizzato manifestazioni illegali per restare coerenti con gli ideali di disobbedienza civile del movimento pro-democrazia che si oppone al Governo locale e a Pechino.
Ci sono poi ragioni strategiche che non sono di secondaria importanza. Dichiarandosi colpevoli, i volti più noti della protesta avranno diritto a uno sconto di pena.
La sentenza è prevista per il prossimo 2 dicembre e verrà pronunciata da un tribunale di Hong Kong, secondo la legge della provincia semi-autonoma che prevede in questo caso un massimo di 5 anni di prigione. Una giustizia dagli attivisti ritenuta più giusta di quella di Pechino, che poco dopo i fatti a loro contestati ha imposto alla regione una nuova legge di sicurezza nazionale, sotto la quale avrebbero rischiato addirittura il carcere a vita.