Papa Francesco è in viaggio in Caucaso. Nel primo pomeriggio è atterrato a Tbilisi in Georgia per un visita di 3 giorni che lo porterà anche in Azerbaigian. Poco dopo il suo arrivo ha incontrato le autorità georgiane nel palazzo presidenziale e ha lanciato un appello alla pace e al rispetto delle sovranità nazionale. "Il progresso della Georgia - ha detto Francesco - ha come indispensabile condizione preliminare la pacifica coesistenza fra tutti i popoli e gli Stati della regione". Secondo Papa Bergoglio è necessario che crescano sentimenti di mutua stima e considerazione, attraverso il rispetto delle prerogative sovrane di ciascun paese secondo il diritto internazionale.
Ma che senso dare a questi viaggi di frontiera, a queste visite in paesi dove i cattolici sono minoritari? Lo abbiamo chiesto a Bruno Boccaletti responsabile delle trasmissioni religiose della RSI.
Papa Francesco sembra proprio preferire le periferie, non solo a livello di parole, di discorsi ma nelle scelte concrete dei viaggi papali. In Europa non è ancora stato in Francia, Spagna, Germania, ma si è recato in Albania, in Bosnia Erzegovina. In Africa ha aperto l’Anno santo nella Repubblica centrafricana, e poi in America ha visitato il Messico, Cuba, la Colombia, i paesi andini.
Bergoglio non cerca i posti in cui il cattolicesimo è maggioritario ma i luoghi in cui ci sono delle ferite, delle guerre non chiuse e dove può portare un contributo alla pacificazione. Sappiamo quanto il Caucaso, cerniera tra nord e sud, tra Europa ed Asia, tra cristianesimo e Islam sia al centro di conflitti sanguinosi.
Georgia e Azerbaigian sono paesi estremamente diversi. La Georgia è un paese ortodosso e l'Azerbaigian è un paese musulmano. Obiettivi diversi per Bergoglio?
Direi in effetti, paesi diversi, obiettivi diversi. In Georgia, i cattolici sono meno del 3 per cento, non hanno un rapporto facilissimo con la maggioranza ortodossa. Qui la frontiera è tra le due confessioni cristiane, cattolici e ortodossi. L’’obiettivo è quello di proseguire un impegno ecumenico dopo l’incontro storico con il patriarca di Russia Kiril a Cuba.
E poi c’è l’Azerbaigian, c’è la grande ferita del Nagorno Karabak, l’enclave cristiana in Azerbaigian, contesa da azeri e armeni e teatro di una sanguinosa guerra. Il Papa sogna di essere mediatore su questo fronte, e potrebbe avere delle chances, perché si presenta non come il difensore di una parte ma vuole ascoltare le ragioni di tutti. E questo in diplomazia spesso funziona, come dimostra il ruolo giocato dalla Santa Sede nel riavvicinamento tra Cuba e Stati Uniti.
RG
Dal TG20:
01.10.2016: Papa nel Caucaso