da Londra, Lorenzo Amuso
Sono bastati sei mesi per trasformare un mancato appuntamento con la storia in un annunciato trionfo elettorale. Lo scorso settembre i nazionalisti scozzesi vedevano infranto il sogno indipendentista: il referendum confermava lo status quo, consolidato da un’ampia maggioranza a favore dello schieramento unionista. Poteva essere l’inizio della fine per lo Scottish National Party, azzoppato dalle improvvise dimissioni del suo leader, Alex Salmond. Ma i mesi successivi si sono rivelati una clamorosa smentita ad ogni catastrofismo. Non solo perché gli iscritti allo SNP nel frattempo sono più che triplicati, passando da 25'000 a oltre 93'000. Ma soprattutto perché i sondaggi delle elezioni in Gran Bretagna di maggio appaiono quanto mai esaltanti.
L'intervista a Michael White, vicedirettore del Guardian
RSI Info 25.03.2015, 16:49
In Scozia gli indipendentisti sono accreditati di una maggioranza bulgara, superiore al 90%. A meno di 50 giorni dal voto sono addirittura 55 i seggi attribuiti all’SNP, tra le 59 circoscrizioni scozzesi un tempo in mano ai laburisti (46 eletti nel 2010). Una marea di voti che potrebbe far diventare il partito ora guidato da Nicola Sturgeon il kingmaker del nuovo Parlamento. L’ago della bilancia del prossimo Governo, come è capitato ai liberaldemocratici nell’attuale legislatura. Tory e Labour sono appaiati nei sondaggi, erosi dall’ascesa rispettivamente degli indipendentisti dell’UKIP e appunto dai nazionalisti scozzesi. Improbabile che uno dei due principali partiti ottenga la maggioranza assoluta dei deputati (326), dunque all’orizzonte si profila un altro Esecutivo di coalizione. Oppure di minoranza, con appoggio esterno di una formazione minore. Geometrie politiche di facile identificazione ma di altrettanto difficile realizzazione. Perché il matrimonio tra conservatori e UKIP appare controverso e rischioso almeno quanto quello tra Labour e SNP. Tradizionalmente più a sinistra degli stessi laburisti, gli indipendentisti coltivano - per statuto - l’obiettivo finale di rompere l’unione economica e monetaria del Regno. Non il presupposto più rassicurante per un accordo di Governo, che peraltro rischierebbe di accelerare quel processo di riforma costituzionale in chiave federalista, già in atto.
Nicola Sturgeon
Di fronte all’autonomia crescente di Edimburgo, anche Galles e Irlanda del Nord, senza trascurare la stessa Inghilterra, già invocano più autogestione. Un rebus per i Labour ma anche per lo stesso partito nazionalista scozzese. La mistica indipendentista è stata alimentata dall’oro del Mare del Nord ma ora che il prezzo del petrolio è precipitato da 110 a 50 dollari al barile, l’SNP si trova in bilico tra sogno e realtà.
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