Negli scorsi giorni in Russia si è assistito alla turbolenza valutaria più grave dall’inizio del conflitto in Ucraina nel 2022. Il rublo si è svalutato in maniera forte e rapida rispetto al dollaro ed è crollato di oltre il 25%, superando il tasso di cambio di 100 rubli per l’unità della moneta statunitense. Prima dell’inizio della guerra si aggirava sui 70-80 rubli per dollaro. Allo stesso tempo ha anche perso terreno nei confronti dello yuan cinese, rispetto quindi di una moneta che negli ultimi tre anni si è sempre più trasformata in un sostituto delle valute occidentali nel commercio estero.
La ragione immediata della perdita di valore è stata probabilmente la decisione degli Stati Uniti di rafforzare le sanzioni sulle transazioni finanziarie contro Mosca, coinvolgendo altre grandi banche, come Gazprombank, uno degli istituti di riferimento statale per i pagamenti internazionali nel settore energetico. L’indebolimento del rublo è in generale un fattore dell’aumento dell’inflazione, problema che la governatrice della Banca centrale russa Elvira Nabiullina sta cercando di contrastare, con fasi alterne: quest’anno potrebbe salire all’8,5%, il doppio rispetto a quanto previsto, e ciò spiega anche l’aumento dei tassi di interesse che sono saliti al 21%, il livello più alto degli ultimi 20 anni.
Economia di guerra
Dall’inizio della crisi ucraina del 2013/2014 e della strategia sanzionatoria finanziaria ed economica di Stati Uniti, Unione Europea e G7 nei confronti della Russia ogni serie di provvedimenti restrittivi occidentali ha provocato una reazioni sui mercati e sull’economia russa. Anche dopo l’avvio dell’invasione dell’Ucraina e i progressivi giri di vite, si sono verificati shock a breve termine, prima che le banche e le industrie russe prendessero le contromisure. Al momento si è entrati in una nuova fase in cui è comunque complicato per gli attori russi operare sui mercati globali, sia a causa delle sanzioni dirette che da quelle dalle sanzioni secondarie indirizzate contro chi facilita le transazioni con Mosca.
La Russia non è in ogni caso isolata e il cordone sanitario sul fronte occidentale non è né impenetrabile, né riguarda ogni settore: ad esempio quelli chiave energetici, come gas e nucleare, non sono stati sostanzialmente colpiti. Discorso parzialmente diverso per il petrolio, il cui export rimane uno degli elementi trainanti dell’economia russa e con i prezzi intorno ai 60 dollari rimane un’ancora importante per il sistema di Vladimir Putin. Problemi di destabilizzazione potrebbero affacciarsi in futuro se alle restrizioni finanziarie si aggiungessero appunti bassi prezzi del petrolio, sotto i 40 dollari, per cui l’interna economia subirebbe contraccolpi evidenti.
Spesa militare
Lo scorso novembre è stato approvato a Mosca il bilancio federale per il prossimo anno, che prevede di aumentare significativamente la spesa militare: il bilancio della difesa dovrebbe crescere di un quarto a 13,5 trilioni di rubli, circa 130 miliardi di euro, tra il 7 e l’8% del prodotto interno lordo, un record. Nell’ultimo bilancio prima dell’inizio delle guerra, 2021, la spesa militare era pari al 3,6% del PIL. Se inizialmente i costi della guerra sono stati finanziati dalle esportazioni di energia, ora tra sanzioni e fluttuazioni dei prezzi sui mercati le casse pubbliche registrano un deficit, in realtà contenuto, al 2%. È vero però che l’economia russa sull’onda del conflitto si sta surriscaldando, con la crescita della domanda aggregata nell’ultimo triennio sul 10% che ha portato a una crescita nel 2023 del 3,6%. Quest’anno la performance sarà analoga, ma per il prossimo biennio ci sarà un rallentamento, sotto il 2%.
Il quadro russo attuale, non roseo, ma nemmeno catastrofico, neanche in prospettiva, va naturalmente inserito anche nel contesto internazionale, ed europeo soprattutto, dove le situazioni delle economie continentali, per così dire dall’altra parte della barricata, paiono attraversare fasi altrettanto problematiche, come illustra il caso della Germania, vittima maggiore dello spostamento degli equilibri energetici. Quanto saranno effettivamente grandi le difficoltà economiche per Mosca nel 2025 dipenderà in sostanza, come sempre, dal corso del prezzo del petrolio: un crollo dei proventi delle esportazioni peggiorerebbe considerevolmente la situazione, stabilità o crescita favorirebbero la tenuta. La situazione in Medio Oriente che coinvolge direttamente o indirettamente Paesi produttori ed esportatori fa presumere uno sviluppo in questa seconda direzione, almeno sul breve periodo.
Zelensky: tregua sotto l’ombrello NATO
Telegiornale 30.11.2024, 12:30