Non è stato solo un successo, dato del resto per scontato. È stato un trionfo quello di Matteo Renzi. Per le dimensioni del voto che, con l'80% cento dei suffragi, gli consegna la guida del Partito Democratico italiano con una legittimazione indiscutibile; e anche per la partecipazione di un elettorato di centro-sinistra che – nonostante le recenti e cocenti delusioni – si è recata ai gazebo al di là di ogni previsione. Una chiara, netta, forte richiesta di cambiamento e di discontinuità nella gestione e nella rotta del partito. Si chiude dunque un’epoca.
Certo, non gli sarà facile gestire una vittoria di queste proporzioni. Gli agguati provenienti da una parte del PD non mancheranno. E c'è ancora da capire cosa sia esattamente la sostanza del “renzismo” e il suo programma. Ma ancor più difficile sarà il compito dei suoi nemici interni, che non hanno certo brindato al successo di chi ha promesso di mettere in soffitta la vecchia guardia. Il messaggio della base è infatti inequivocabile: il partito, finora diviso fra le sue diverse “anime”, deve compattarsi dietro un leader e dietro una linea politica che si stacca nettamente dalla tradizione.
Un messaggio che il “rottamatore” ha tradotto anche in modo brutale in un passaggio del suo primo discorso da segretario: “Oggi non ha perso la sinistra, ma ha perso il suo gruppo dirigente” (e tutti hanno immaginato subito la faccia di D’Alema). Nemmeno sarà facile un’opera di sabotaggio da parte di quelle componenti parlamentari PD che a Montecitorio e a Palazzo Madama sono approdati sotto i vessilli di capi corrente della passata leadership.
Ieri sera (domenica), il sindaco di Firenze non ha parlato solo da neo-segretario. Ha pronunciato un discorso da primo ministro. Aprendo un confronto diretto (anche per le sue ambizioni future) con l’attuale inquilino di Palazzo Chigi, Enrico Letta. Che Renzi ha promesso di voler mettere sotto pressing per fare le riforme finora rimaste nel cassetto. E per garantirsi una credibilità che adesso va incontro al suo primo grande test politico. Tutt’altro che facile nel momento in cui un doppio populismo – berlusconiano e grillino – promette una sorta di lotta continua. Primo banco di prova, le elezioni europee del prossimo giugno. Non proprio una passeggiata.
Aldo Sofia
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