Etiopi ed eritrei, mozambicani, zimbabwiani, angolani: i bersagli della violenza dei neri sudafricani sono i "fratelli neri", come ha detto i il Presidente Jacoba Zuma nel suo inascoltato appello a deporre le armi della rivolta. La guerra tra poveri invece non sembra fermarsi e viene giustificata al grido di "ci portano via il lavoro".
I motivi del conflitto in numeri
A dargli ragione ci sarebbero i dati dell’Istituto di Ricerca MiWORK, secondo i quali la disoccupazione tra i sudafricani stanziali sarebbe al 26%, tra i sudafricani migrati da una zona all’altra del paese il 32.5%, mentre tra gli immigrati solo il 14,68%. Il Governo non conferma ma d’altronde anche sulle presenze straniere fornisce un dato - 2 milioni - decisamente più basso di quello dei ricercatori privati che parlano di una presenza tra i 5 e i 10 milioni. Ma è pure vero che, sempre per le statistiche, sul totale di lavoratori solo il 4% è straniero. Fatto è che dal 2008 il fenomeno delle violenze xenofobe è diventato cronaca quasi quotidiana, con i piccoli commercianti del Corno d’Africa costretti a blindarsi nei negozi delle township una volta gestiti da sudafricani. Il massacro dei minatori di Marikana - ad opera della polizia nel 2012 - evidenziò più che mai la presenza di lavoratori - regolari o no - provenienti da oltre confine.
A Johannesburg si vive con la paura
Stessa situazione negli altri settori, dai taxi collettivi alle aziende agricole alla ristorazione. Manodopera meno costosa e meno sindacalizzata, percepita dai sudafricani come un pericolo in un mercato del lavoro col 30% di disoccupazione locale, con picchi ben più alti tra i giovani, e con un’economia che cresce del 4% annuo contro il 7% stimato. A questo bisogna aggiungere il crescente malcontento dei sudafricani neri che si sentono abbandonati dal loro Governo in condizioni non molto diverse da quelle dei tempi bui dell’apartheid, finito 21 anni fa.
Servizi scadenti
Dagli ospedali alle scuole, dal riscaldamento ai trasporti pubblici, i servizi per la maggioranza nera rimangono di qualità scadente, se non totalmente assenti. Anche qui, le proteste si susseguono da anni: nel 2011 uno dei manifestanti, Andries Tatane, insegnante e attivista politico, venne ucciso dalla polizia durante un corteo contro l’assenza dello Stato nelle aree degradate. Tatane divenne un simbolo della Nazione Arcobaleno che Nelson Mandela avrebbe voluto ma che non è.
Lorella Beretta
La cronaca dei primi giorni di crisi in Sudafrica