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Kiev ricorre all’arma energetica, l’Ungheria contrattacca

Budapest si rivolge a Bruxelles e minaccia di bloccare lo Strumento per la pace (che serve per le armi) - Anche la Slovacchia contesta le sanzioni a Lukoil che bloccano il petrolio russo

  • 2 ore fa

Il greggio russo crea discordia

SEIDISERA 23.07.2024, 18:28

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Di: Reuters/pon

Le sanzioni ucraine contro il colosso petrolifero russo Lukoil - per colpire le fonti di finanziamento del Cremlino nel conflitto in corso dal 2022 - fanno infuriare Ungheria e Slovacchia. I due Paesi dei Ventisette più ostili agli aiuti europei a Kiev hanno scritto a Bruxelles. La Commissione europea ha confermato la ricezione di una lettera spedita lunedì dai ministri degli esteri di Budapest e Bratislava, con la richiesta di premere sull’Ucraina affinché ripristini pienamente il transito attraverso il suo territorio del petrolio di Lukoil, che passa dall’oleodotto Druzhba (“Amicizia”). Ora, se non interrotto, è quantomeno fortemente ridotto.

Scaduto un ultimatum di tre giorni, la questione verrà portata sul tavolo della Corte di giustizia europea, ma l’Ungheria per bocca del ministro degli esteri Peter Szijjarto si è già spinta anche oltre: in assenza di una soluzione, bloccherà qualsiasi nuovo pagamento da parte dello Strumento europeo per la pace, “calderone” finanziario dal quale l’UE ha attinto per l’assistenza a un buon numero di Paesi, dall’Armenia al Kenya. In genere, con cifre nell’ordine di pochi milioni di euro. Per rispondere alle esigenze di difesa e armamento di Kiev, l’UE attraverso questo strumento ha invece mobilitato 6,1 miliardi fra il 2022 e quest’anno, e in marzo si è accordata per aumentare il massimale di altri 5 miliardi, istituendo un apposito fondo.

Un portavoce europeo ha fatto sapere che si procederà ad accertare i fatti segnalati da Budapest e Bratislava, stando alle quali sarebbe stato violato l’accordo di associazione dove, nero su bianco, Kiev si impegnava a non impedire il transito di energia sul suo territorio. Al momento, secondo Bruxelles, l’approvvigionamento in oro nero dell’UE non è in pericolo.

Quello dei due Stati in questione, invece, sì, almeno stando agli interessati, che da settimane lamentano lo stop alle forniture. Privi di sbocco sul mare, dipendono dal Druzhba per una parte importante del loro fabbisogno e non a caso, insieme alla Cechia, erano stati esentati dal divieto di importare petrolio via terra dalla Russia. L’Ungheria acquista attraverso questa via il 70% delle sue importazioni e non ha mai dato seguito agli appelli a diversificare le sue fonti. Facile immaginare come le misure ucraine rischino di alterare il mercato interno, avendo già iniziato a spingere al rialzo i prezzi con conseguenze sull’intera catena economica.

Questa controversia va a intrecciarsi con quella diplomatica fra Bruxelles e Budapest, innescata dalle “missioni di pace” senza mandato europeo del premier magiaro Viktor Orban, prima a Kiev e poi a Mosca e Pechino, dopo che l’Ungheria ha assunto a inizio mese la presidenza semestrale del Consiglio. Lunedì, per ripicca, il capo della diplomazia europea Josep Borrell ha convocato a Bruxelles una riunione dei ministri degli esteri dei Ventisette, che avrebbe dovuto tenersi “da tradizione” a fine agosto a Budapest. “Dovevamo dare un segnale”, ha spiegato lo spagnolo. Un segnale al quale Szijjarto, tuttavia, si è detto del tutto indifferente.

Quanto sta accadendo ora con il petrolio di Lukoil, inoltre, potrebbe riproporsi in modo analogo a fine anno con il gas. Scadrà l’accordo di transito che permette alle forniture di Gazprom di attraversare l’Ucraina nei tubi del gasdotto Soyuz. Kiev non intende rinnovare l’intesa, con conseguenze per le forniture verso l’Europa centrale. Sarebbe particolarmente toccata, in questo caso, soprattutto l’Austria, quasi totalmente dipendente dal gas russo. Le alternative, anche per chi in questi due anni le ha cercate, sono più care.

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