La riconquista da parte delle forze israeliane dei territori presi d’assalto da Hamas sta restituendo tutto l’orrore che ha insanguinato quelle aree. Sono stati così ritrovati, a breve distanza dalla Striscia di Gaza, centinaia di cadaveri, compresi quelli di decine di bambini, uccisi con le loro famiglie.
Nel kibbutz di Kfar Aza, 4 giorni dopo l’incursione dei miliziani di Hamas nell’insediamento, i soldati d’Israele passano di casa in casa per recuperare i corpi degli uccisi: delle oltre 200 vittime, molti sono bambini uccisi barbaramente: “Ci sono bambini, le madri, i padri nei loro letti”, riferisce il generale maggiore Itai Veruv. “Il modo in cui i terroristi li hanno uccisi non è guerra, non è un campo di battaglia. È un massacro, è un puro atto terroristico”, sottolinea l’alto ufficiale.
Il muro di difesa sulla linea di confine con la Striscia si situa a pochi passi. Qui abitavano circa 700 persone, molte giovani famiglie con figli. Ma quello di Kfar Aza è solo uno degli oltre 20 villaggi e città attaccati da Hamas. E chi è riuscito a fuggire ha trovato rifugio nel kibbutz di Shefaym. “Sono entrati in ogni casa, in ogni stanza, ovunque”, racconta un sopravvissuto. “Per quelli che non sono riusciti a trascinare fuori e uccidere, davano fuoco alle case e li uccidevano dentro”.
La testimonianza di un sopravvissuto
Telegiornale 11.10.2023, 20:36
Nel kibbutz della località di Be’eri 108 persone sono state uccise dai miliziani. Ed è drammatica la testimonianza ai nostri microfoni dell’88enne Tuvia Saar: una vita da militare, diplomatico e soprattutto giornalista, che dice di avere avuto sempre comprensione per le difficoltà del popolo palestinese. Ogni venerdì mattina parte dalla sua abitazione di Tel Aviv per recarsi dalla fidanzata, che risiede a Be’eri. Ma sabato scorso, mentre si apprestava a rientrare in città, è iniziato l’attacco al kibbutz.
I miliziani sono entrati nell’appartamento, dopo aver fatto saltare la porta principale con un ordigno al plastico: lui si trovava in una stanza, mentre la fidanzata si è nascosta in un armadio. “Sapevo che era arrivata la mia fine... Ero in contatto con la mia famiglia al telefono: ho scritto ‘sono in casa, sono entrati’. Poi volevo dire addio, augurare buona fortuna, qualcosa del genere. Ma poi ho deciso di non farlo, perché non volevo che fossero tristi”.
Ma i miliziani, pensando che in casa non ci fosse nessuno, se ne sono andati via. “Posso dire che per me è stato un miracolo.”, racconta. “Loro non sono entrati in camera da letto e non sono arrivati nella stanza. Non so perché, non ho spiegazioni”.
Portata in salvo dai militari, la coppia si è quindi trovata di fronte al massacro compiuto nell’insediamento. “Non avrei mai pensato che avrebbero fatto quello che hanno fatto. Ed è una cosa che non dimenticherò mai”, sottolinea Tuvia Saar. “Non voglio entrare nei dettagli, perché è orribile. Ma quello che hanno fatto a Be’eri è stato un massacro; anche di bambini... È peggio dell’ISIS. Questa è una cosa che nessuno può dimenticare, che nessuno perdonerà”.