I cittadini iraniani domani, venerdì, sono chiamati a eleggere il nuovo presidente, a quattro anni dall'elezione del moderato riformista Hassan Rohani che torna a candidarsi in contrapposizione a Ebrahim Raisi, l’ultimo dei tre sfidanti rimasti, appoggiato dalla parte più conservatrice e osservante del paese. È considerato come il delfino del 77enne Ali Khamenei, Guida suprema del paese e vero detentore del potere politico e religioso.
"Ho l’impressione che una buona parte della popolazione voglia ancora aprirsi. Il problema è che il presidente Rohani non ha raggiunto i suoi obiettivi economici. L’accordo sul programma nucleare del paese ha dato un impulso alla macroeconomia (il petrolio viene esportato, l’inflazione è diminuita…) ma questo non ha migliorato molto la qualità di vita dell’iraniano medio. Per questo siamo ad una polarizzazione di circa 50% contro 50%. Non sarebbe stato il caso se la questione economica non fosse stata così centrale nel dibattito" spiega intervistato dalla RSI Mohammed Reza Djalili, professore onorario di storia e politica all’Istituto di alti studi internazionali e dello sviluppo, a Ginevra.
Quindi in una situazione così equilibrata, tesa, non è possibile intravvedere il vincitore delle presidenziali di domani?
Penso che il signor Rohani abbia ancora un leggero vantaggio. La gente lo conosce. Raisi invece è poco conosciuto e ha fatto delle promesse difficili da mantenere. Penso anche che i giovani, le donne, le minoranze etniche continueranno a sostenere Rohani: ai loro occhi è forse il meno peggio, quale candidato. Se Raisi diverrà presidente la disoccupazione non sparirà certo per miracolo; però sono certi che aumenterebbero le pressioni quotidiane sulle loro libertà sociali. Sarebbero ancor più sorvegliati.
Rohani ha raggiunto lo storico accordo sul programma nucleare iraniano (con la comunità internazionale), però la gente non ha raccolto i vantaggi sperati. Potrebbe essere motivo sufficiente per cambiare…
Ha consacrato una parte essenziale del suo tempo a questo accordo e alla sua applicazione, iniziata solo poco più di un anno fa. I risultati sarebbero più visibili nel corso di un suo secondo mandato. È necessario che i paesi democratici europei sostengano Rohani investendo in Iran, evitando i timori delle banche internazionali, soprattutto di fronte alle nuove sanzioni da parte degli Stati Uniti. A non favorire Rohani è anche stata l’ascesa al potere di Donald Trump, sempre molto contrario all’accordo sul nucleare iraniano. E che ha programmato il suo primo viaggio all’estero proprio per domani, proprio in Arabia Saudita. Sapete quale guerra fredda sia in corso, tra Riad e Teheran. Nessuno spera che sfoci in un confronto diretto, con un incoraggiamento americano al fronte saudita.
Oggettivamente Ebrahim Raisi ha delle chance di vincere?
Semplicemente Raisi ha un vantaggio che Rohani non ha: è molto sostenuto dalla Guida suprema della rivoluzione e dagli organismi non eletti che sono vicini all’ayatollah Khamenei. C’è l’esempio delle elezioni del 2005 tra Rafsanjani e Ahmadinejad: tutti pensavano che vincesse il primo. Ma all’improvviso ha vinto il suo rivale, grazie alla mobilitazione delle organizzazioni nate in seguito alla Rivoluzione. Non è escluso che si ripeta durante questa elezione.
Diem/Pierre Ograbek
Per saperne di più
L'elezioni iraniane saranno al centro della puntata di Modem di domani, venerdì 18 maggio: Rohani tenta il bis