Un'altra vittima eccellente nella battaglia hi-tech tra USA e Cina, una di quelle principali della più ampia guerra fredda tra le due superpotenze: nella sua risposta al giro di vite statunitense sulle tecnologie, Pechino non risparmia neppure la Apple che, finora, era stata trattata con i guanti perché vi possiede la più grande fabbrica al mondo e dà lavoro a milioni di cinesi per assemblare i suoi smartphone.
Il Dragone ha però deciso di vietare per i funzionari governativi gli iPhone, proprio alla viglia della presentazione del nuovo modello '15'. Banditi anche altri telefonini di marche straniere non meglio precisate, ha rivelato il Wall Street Journal.
Apple ha già accusato il colpo a Wall Street, dove ha perso oltre il 3%. Del resto la società di Cupertino domina il mercato in Cina, che è uno dei suoi sbocchi più grandi, con una quota del 19% del fatturato globale.
A nulla è valso il pieno rispetto delle severe leggi cinesi su internet (con la rimozione di migliaia di app considerate 'illegali' e lo stoccaggio dei dati in server basati in Cina), né la visita in marzo di Tim Cook, primo big dell'economia USA a tornare nel Paese dopo la revoca delle restrizioni anti COVID-19.
Si tratta dell'ultima mossa nell'offensiva di Pechino per ridurre la dipendenza dalla tecnologia straniera e i rischi di infiltrazioni straniere a tutela della sicurezza nazionale. Ma il bando ha anche il sapore della ritorsione contro misure analoghe prese da Washington nei confronti di Huawei e l'app TikTok, seguite da una stretta sull'esportazione di semiconduttori ed altre tecnologie sensibili americane.
In realtà Pechino aveva già limitato da anni l'uso degli iPhone per i funzionari di alcune agenzie governative ma ora l'ordine è capillare, trasmesso dai dirigenti nella chat o nelle riunioni di lavoro con lo staff.
Il Dragone ha cominciato a rafforzare la propria cyber sicurezza almeno un decennio fa, dopo che Edward Snowden aveva rivelato nel 2013 che la National Security Agency, dove lavorava, aveva infiltrato il network di computer cinesi. Poi nel 2020 l'offensiva è salita di livello, parallelamente all'escalation delle tensioni con Washington.
A luglio Pechino ha iniziato ad applicare un aggiornamento ancora più ampio della legge anti spionaggio, mentre nella corsa per l'autarchia hi-tech Huaweii ha recentemente presentato uno smarthphone di punta più veloce volto a sfidare nuovamente Apple per gli utenti premium.
Per mantenere le tensioni e la competizione all'interno di rapporti chiari e stabili, il presidente USA Joe Biden ha già mandato in Cina quattro alto esponenti della sua amministrazione, da Antony Blinken a John Kerry, da Janet Yellen e Gina Raimondo. Ora punta ad incontrare Xi, che però diserterà l'imminente G20. Il loro ultimo faccia a faccia risale al precedente vertice di Bali.
L'occasione successiva è il summit Apec di metà novembre a San Francisco. "Per realizzare davvero 'Da Bali a San Francisco' gli Stati Uniti devono mostrare sufficiente sincerità", ha ammonito il ministero della Sicurezza di Stato, definendo le recenti aperture diplomatiche USA "un mix di impegno e di contenimento". Ma Xi, con un'economia in frenata, un settore immobiliare nel caos e un alto tasso di disoccupazione, sembra troppo in difficoltà per rifiutare la mano tesa di Biden.
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