Alcuni si sono ritrovati in un bunker, altri in un monastero. Ma quello che li accomuna è la volontà di riprendersi in mano il proprio Paese, il Libano, tenuto in ostaggio ormai da decenni da Hezbollah, il Partito di Dio, vero e proprio Stato nello Stato. Nei giorni scorsi, i cristiani si sono riuniti in un incontro interconfessionale alle porte di Beirut, a Bkerke, in quello che è anche la sede del Patriarcato Cristiano maronita di Beirut, mentre i movimenti politici contrari ad Hezbollah lo hanno fatto in una località “segreta”- ma in realtà nel covo protetto da sbarre, telecamere e armi automatiche a Geagea alla periferia della capitale: in un bunker, appunto. Non si sa mai.
Sottoterra, nel gruppo di circa ottanta persone, insieme per formare un’opposizione contro Hezbollah, figure di spicco come Samir Geagea, leader cristiano delle Forze Libanesi, e Camil Chamoun Jr., nipote del secondo presidente del Libano. Anche Ashraf Rifi, un ex generale della polizia e ministro della Giustizia, ha partecipato come unico politico musulmano. Ma le divisioni interne e la mancanza di unità tra i vari attori politici complicano gli sforzi. Ne è arrivata ulteriore dimostrazione proprio dal “vertice spirituale” di Bkerke, organizzato per la visita del segretario di Stato vaticano Pietro Parolin, dove non è stato solo il boicottaggio da parte della comunità sciita a creare scalpore. Anche l’assenza di due importanti leader cristiani, lo stesso Samir Geagea, che era invece presente all’incontro nel bunker, e Samy Gemayel, capo del Kataeb, ha attirato l’attenzione. Ufficialmente i due hanno giustificato l’assenza adducendo non meglio precisati “problemi di sicurezza”, ma è evidente che hanno preferito non affrontare e conseguenze di essere associati pubblicamente a una posizione così fortemente contraria a Hezbollah. La preoccupazione di tutti è quella di non passare da collaborazionisti di Israele.
“Adesso siamo riuniti qui come carbonari, ma la prossima volta ci troveremo a Beirut dove molti si saranno uniti a noi”, dice il sunnita Ashraf Rifi: “Stiamo per vivere la terza indipendenza del Libano. La prima volta abbiamo combattuto il colonialismo francese, la seconda l’invasione siriana e la terza l’influenza dell’Iran”. Ai giornalisti Gaegea spiega la sua ricetta “per uscire dal baratro”: elezione del presidente che manca da due anni e disarmo completo delle milizie. “Se qualcun altro ha altre idee, magari migliori, che si faccia avanti, noi non vogliamo isolare nessuno, nemmeno Hezbollah, ma bisogna agire in fretta. Nessuno dall’estero verrà ad aiutare il Libano fino a che avremo questo Stato fallito. Non l’Occidente, non i Paesi arabi. Il rapporto di forze oggi è chiaramente a favore di Israele, non possiamo permettere che continui così”.
La paralisi delle istituzioni per mano del Partito di Dio
L’influenza di Hezbollah è particolarmente evidente nel blocco politico del paese dei cedri. Grazie a un sistema di alleanze con altre forze politiche, è riuscito a paralizzare le istituzioni governative e a imporre la sua agenda, rendendo a dir poco difficoltoso per il legittimo governo libanese prendere decisioni senza il consenso del partito di Dio. Ciò ha portato a un malcontento crescente tra molte comunità libanesi, soprattutto quelle cristiane e sunnite, che vedono Hezbollah come una minaccia per la sovranità nazionale e la stabilità del paese. Ma su tutto emerge la mancanza di unità tra i leader cristiani. La comunità cristiana, che rappresenta una componente importante del tessuto politico libanese, è frammentata su come affrontare la questione di Hezbollah. Alcuni sostengono che un confronto diretto con Hezbollah sia inevitabile, mentre altri, più cauti, preferiscono un approccio più diplomatico per evitare un’escalation del conflitto interno. Questo divide ulteriormente la comunità e rende difficile la formazione di una coalizione unitaria capace di fare pressione su Hezbollah.
Il campanile della Cattedrale di Beirut
Il rischio di opporsi a Hezbollah
Il fatto che l’incontro sulle montagne di Beirut sia stato organizzato in un bunker sottolinea la percezione di rischio che accompagna l’opposizione a Hezbollah. Il gruppo, infatti, ha una presenza capillare nel Paese e un’influenza tale che opporsi apertamente al suo potere può comportare gravi conseguenze. La comunità internazionale, in particolare l’Unione Europea e gli Stati Uniti, ha espresso più volte preoccupazione per l’influenza di Hezbollah in Libano dove la mancanza di una leadership unitaria rende difficile prevedere come e quando queste strategie potranno essere attuate. Inoltre, il rischio di una reazione violenta da parte di Hezbollah o dei suoi alleati rimane alto con la paura che si possa scatenare nuovamente una guerra civile anche più devastante di quella che il Libano ha vissuto tra il 1975 e il 1990.
Su tutto, emergono significative le parole del vescovo cattolico di Beirut, Monsignor César Essayan, che non ha partecipato nemmeno lui all’incontro interconfessionale di Bkerke, e che abbiamo incontrato nella sede del vescovado alla periferia della capitale libanese. “Ero impegnato nella gestione dell’accoglienza per l’emergenza profughi”, ci ha detto Mons. Essayan in risposta alla sua assenza al vertice, “ma credo che sia ancora presto per affermare che esistono le condizioni nel Paese perché emerga una coalizione politica, anzi politica e religiosa, in grado di riprendere in mano la sovranità del Libano. Adesso, sull’immediato, vedo la necessità piuttosto di affrontare un rischio molto serio, quello che alcune forze nel Paese stiano cercando di utilizzare le oggettive difficoltà dovute all’emergenza profughi per fomentare il caos e portare ad una nuova guerra civile. È un rischio reale, che non va sottovalutato”.
Il vescovo di Beirut, Mons. Cesar Essayan
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Telegiornale 22.10.2024, 12:30