Reportage

“Senza l’UNIFIL qui non ci rimane più nulla”

La missione dell’ONU è vista favorevolmente nel sud del Libano, ma oltre al mantenimento della pace in caso di ritiro è a rischio anche l’indotto economico collegato al contingente

  • 21 ottobre, 10:09
  • 21 ottobre, 10:18
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Reportage sull'UNIFIL nel sud del Libano

Telegiornale 19.10.2024, 20:00

  • Gabriele Micalizzi per RSI Info
Di: Testo di Francesco Maviglia - Fotografie di Gabriele Micalizzi 

“Stiamo bene, siamo nei bunker. Non potete stare qui, andatevene per favore.” Queste sono le uniche parole di un soldato ghanese mentre ci intima di allontanarci dall’ingresso della base UNIFIL di Rmeich, nel sud del Libano, a pochi chilometri dal confine con Israele.

Indossa un giubbotto antiproiettile e un casco blu, ma ciò che risalta sono un paio di ciabatte ai piedi. È sorridente, quasi felice di rivederci dopo che per tre volte ci siamo avvicinati alla base nella speranza di ottenere una dichiarazione. Alle sue spalle è ben visibile una collinetta, sulla cui cima si staglia una grossa croce, mentre tutt’intorno esplodono colpi d’artiglieria israeliana. A una manciata di chilometri dalla base si sta infatti combattendo una delle battaglie più feroci della guerra, ad Ayta El Cheab, un villaggio sciita e roccaforte di Hezbollah. Da dove ci troviamo, si sentono distintamente i colpi di mortaio, le mitragliatrici leggere e le cannonate dei tank israeliani, ma non si vede nulla: le colline bloccano la visuale sul villaggio.

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Un soldato ghanese all’ingresso della base UNIFIL di Rmeich, nel sud del Libano, a pochi chilometri dal confine con Israele

  • Gabriele Micalizzi per RSI Info

L’unico modo per avere uno scorcio visibile è spostarci dalla base verso un’altura, in un’area residenziale periferica di Rmash, un’enclave cristiana non ancora toccata dalla guerra. I residenti, preoccupati per la nostra presenza, ci permettono comunque di salire in un appartamento al quarto piano. Quello che vediamo è solo un frammento del villaggio: una dozzina di casolari, nessun movimento di truppe o soldati di Hezbollah, che sono tutti nascosti nei tunnel sotterranei. In un’ora contiamo oltre 20 bombardamenti in un’area di nemmeno 5 chilometri quadrati. Battaglie simili sono in corso lungo tutta questa parte del confine tra Libano e Israele.

Dopo circa un anno di bombardamenti reciproci tra l’IDF e Hezbollah, i soldati israeliani stanno ora cercando di sradicare la presenza dei paramilitari sostenuti dall’Iran con incursioni sul terreno. Si combatte a Naqoura, Maroun El Ras, Yaroun e Ayataroun. Lungo tutta questa linea di contatto, anche le basi UNIFIL sono state bersaglio di attacchi da parte dell’IDF israeliano, un chiaro messaggio per la missione ONU, ribadito più volte dal capo di Stato israeliano, Netanyahu: “Andate via! La missione ONU ha fallito”.

Israele è tornata a colpire le postazioni di UNIFIL domenica sera: l’ultimo attacco, ha visto un bulldozer dell’IDF demolire deliberatamente una torre di osservazione e la recinzione perimetrale di una postazione ONU a Marwahin. Il portavoce della missione, Andrea Tenenti, ci conferma quanto ripetuto negli ultimi giorni: “Noi non andiamo via, non possiamo permettere a nessuno di decidere il destino della missione. La bandiera delle Nazioni Unite deve continuare a sventolare nel sud del Libano”.

Nel nostro viaggio sulla Blue Line, tra i villaggi maroniti che popolano le uniche aree non toccate dagli scontri, le opinioni sono tutte favorevoli all’operato dei peacekeeper. Molti sostengono che la missione abbia contribuito a stabilizzare l’area e aiuti l’economia locale. Oltre alla preoccupazione per i 10’000 caschi blu, alcuni dei quali feriti negli ultimi giorni dagli attacchi, in caso di ritiro del contingente ONU è a rischio anche l’importante indotto economico collegato alla missione. Secondo fonti UNIFIL, si stima che circa 11’000 libanesi lavorino per la missione, dai cuochi ai contrattisti di grandi aziende. Questo indotto vale oltre 80 milioni di dollari all’anno. I caschi blu, inclusi i contingenti italiani, spesso consumano beni e servizi locali, come cibo, alloggio e trasporti, contribuendo così all’economia delle aree in cui operano. Inoltre, l’impiego di personale locale per supporto logistico e servizi genera reddito nelle comunità locali.

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L'entrata della base UNIFIL a Rmeich, nel sud del Libano

  • Gabriele Micalizzi per RSI Info

Tra queste persone incontriamo Maria, una ragazza di 32 anni che lavorava come estetista nella base italiana di Shama da oltre dieci anni, tempo sufficiente per imparare l’italiano alla perfezione. “Non sono l’unica, molti qui ora parlano lo spagnolo o altre lingue. È normale dopo così tanti anni”. Ora Maria, come tutto il personale collegato alla missione, è disoccupata, almeno finché le basi rimarranno al livello di allerta 3. “Siamo preoccupatissimi. In caso di ritiro del contingente, in quest’area migliaia di famiglie rimarranno senza lavoro, in una situazione economica già disastrosa”.

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Conflitto mediorientale

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