Le sue 561 pagine e le quasi cento tra indice analitico e note non lo fanno sembrare il classico best-seller, ma da domenica tutti gli analisti e opinionisti americani citano “La guerra americana in Afghanistan” di Carter Malkasian. Questo storico, con all’attivo diversi anni in Afghanistan, prima come funzionario civile nella provincia di Helmand e poi in veste di consigliere dello stato maggiore del Pentagono, ha appena pubblicato il suo studio ventennale. E la sua teoria è che da tempo la pace mantenuta in Afghanistan era fragile, se non fasulla. Tanto che nel 2019 si è assistito al record di vittime tra i civili da un decennio e l’anno prima, nel 2018, furono ben 282’000 quelli costretti a fuggire dalle loro case per la minaccia talebana.
Quando gli USA hanno iniziato a perdere il conflitto?
Carter Malkasian (C.M): “Fin dall'inizio. È una guerra che, lentamente, abbiamo capito potevamo combattere, tenere a bada il terrorismo e impedire ai talebani di tornare solo finché saremmo rimasti lì noi. Finché investivamo soldi e mandavamo soldati”.
Eppure la narrazione dei presidenti americani che si sono succeduti e del Pentagono non è mai giunta a questa conclusione...
C.M: “Siamo intervenuti per sconfiggere i talebani e per instaurare un governo democratico afghano. I talebani sono tornati e il governo non ha tenuto. Abbiamo ridotto la minaccia terroristica per 20 anni, ma ora non possiamo garantire che nuovi gruppi – probabilmente non come in passato – possano sorgere. E quando si sommano queste tre conclusioni è difficile dire che abbiamo vinto.”
Cosa gli americani non hanno capito degli Afghani? La loro storia, la loro cultura, le loro motivazioni?
C.M: "Tanti elementi. Non c’è solo la storia che in Afghanistan si è ripetuta più volte e non c’è solo la religione o il credo, perché c’erano problemi di corruzione e di coesione tra le diverse tribù. E poi ricordiamo che combattere contro l’invasore, e un invasore che rappresenta gli infedeli, come lo è stato per i talebani, è uno sprone più grande dei semplici soldi pagati dal Governo ai soldati afghani".
Dopo 20 anni si può concludere sia stato un conflitto sbagliato?
C.M: “Non avevamo scelta, era chiamata la 'guerra buona'. E si è sempre temuto che la minaccia terroristica sarebbe potuta tornare. Con questa scusa rimanere è divenuto una priorità. E così è diventata una guerra che non potevamo vincere, sebbene sia stata inevitabile”.
È stato sbagliato il ritiro?
C.M: “Rimanere era un'opzione perfettamente attuabile, ma ritirarsi era più convincente. Oggi, vedendo come stanno andando le cose e vedendo la vita delle persone a rischio, si hanno dei dubbi, ma penso che avremo una visione più chiara su questa scelta tra un anno, tra due... tre anni, forse anche cinque".
Come è possibile che gli USA dopo venti anni di conflitto non avessero capito cosa stesse accadendo sul terreno dopo aver annunciato il ritiro delle truppe?
C.M: “Quando tutto si muove e cambia velocemente e ci sono molte decisioni importanti da prendere, c'è spazio per piccoli errori umani. Quello che abbiamo visto qui in Afghanistan è una disfatta. E le disfatte accadono nella storia militare... e assomigliano molto a questa".
Colpisce come il Presidente Biden con “brutale realismo” continui a difendere il ritiro quasi incurante delle sofferenze degli afghani che rimangono senza protezione. Dov’è finito l’idealismo di cui si erano ammantati molti interventi americani?
C.M: "Può vederlo ora nelle migliaia di soldati americani che sono ancora a Kabul e cercano di evacuare, non solo gli americani, ma anche gli afghani e gli alleati dall’Afghanistan. L’idealismo c’è sempre, penso che un 'brutale realista' come dice lei avrebbe ritirato le truppe dicendo semplicemente che non c’era più interesse a rimanere”.
Senza parlare di guerra persa, nel suo libro sembra suggerire che non ci sia un modo elegante per perdere un conflitto. Gli americani fanno fatica ad ammettere che è una guerra persa?
C.M: “Naturalmente, non voglio ammettere che abbiamo perso, è doloroso dirlo, ma se si dovesse discutere... beh, lei vincerebbe.”