Sono due le guerre che Volodymyr Zelensky sta combattendo. La prima è quella iniziata lo scorso anno con l’invasione russa. La seconda è quella contro la corruzione, fatta di tante battaglie, cominciate subito dopo l’elezione a capo dello stato nel 2019. La più recente di queste è finita con il licenziamento di tutti i funzionari incaricati del reclutamento militare, ritenuti responsabili di un sistema con troppi buchi, fatto di mazzette, arricchimento illegale, fondi neri, profitti illeciti. Dopo un'ispezione delle autorità anticorruzione e dei servizi segreti Sbu sono state avviate 112 indagini penali a causa di violazioni registrate in varie regioni, tra le altre quelle di Donetsk, Poltava, Vinnytsia e Kiev. Qualche settimana fa era stato il caso del capo del servizio militare dell’oblast di Odessa a sollevare un polverone, con il funzionario accusato di aver accettato tangenti e guadagnato l'equivalente di diversi milioni di franchi dall'inizio della guerra.
Zelenski licenzia i responsabili del reclutamento
Telegiornale 11.08.2023, 20:00
Una vecchia piaga
Queste vicende non proprio una novità, visto che il conflitto è cominciato da ormai un anno e mezzo e le falle sono sempre state conosciute: evidentemente non sono però più sostenibili. Da un lato per ragioni strettamente militari, cioè le forze armate ucraine hanno bisogno nella controffensiva di ogni uomo possibile, tanto che il governo pensa inoltre di estendere il divieto di andare all’estero anche ai sedici e diciassettenni; dall’altro perché di fronte alle preoccupazioni occidentali di fronte alla corruzione, periodicamente vanno dati chiari segnali di contrasto. Per Zelensky i casi vecchi e nuovi rappresentano una minaccia per la sicurezza nazionale dell'Ucraina e minano la fiducia nelle istituzioni statali, messa sempre a dura prova. A gennaio di quest’anno, alla vigilia del vertice di Kiev con i maggiori rappresentanti dell’Unione Europea, c’era già stata una prima ondata di siluramenti, con la deposizione dei governatori delle regioni di Dnipropetrovsk, Zaporizhia, Cherson, Sumy e Kiev deposti, e la destituzione dei viceministri della Difesa, delle Politiche sociali e di due viceministri allo Sviluppo regionale.
Il sistema degli oligarchi
Se in questi mesi di conflitto con la Russia l’attenzione si è spostata sulla corruzione nei settori vicini a quello militare, l’Ucraina ha sempre sofferto di questa piaga, dilagata parallelamente all’istituzionalizzazione del sistema oligarchico come fondamento della vita politica ed economica del paese. I grandi magnati della finanza e dell’industria, nati e cresciuti con le privatizzazioni selvagge negli anni Novanta, hanno sempre giocato un ruolo decisivo non solo nelle vicende economiche, ma anche in quelle politiche. Sin dai tempi del presidente Leonid Kuchma (1994-2004, passando per Victor Yushchenko (2005-2010), Victor Yanukovich (2010-2014) e Petro Poroshenko (2014-2019), quest’ultimo uno dei più grandi oligarchi ucraini che per vent’anni ha fatto l’equilibrista tra i suoi asset e il parlamento a Kiev: oggi è il leader del maggior partito di opposizione alla Rada. Lo stesso Zelensky è arrivato alla presidenza quattro anni fa con il decisivo aiuto di Igor Kolomoisky, potente oligarca attivo nel settore bancario e industriale, e alla desistenza degli altri, da Rinat Akhmetov (sponsor di Yanukovich) e Victor Pinchuk (ex genero di Kuchma), solo per citarne alcuni, che aspiravano comunque a un cambio alla Bankova, sede del presidente a Kiev.
I timori dell’Occidente
Secondo Transparency International l’Ucraina è oggi al 116 posto su 180 nella classifica delle nazioni più corrotte e negli ultimi decenni si è sempre mossa in questa zona poco virtuosa: la guerra ha cambiato poco, le iniziative di Zelensky di smantellare i poteri forti si sono scontrate contro un muro di gomma, anche se in realtà l’influenza degli oligarchi sulla politica è diminuita, lasciando però spazio altrove per la corruzione. L’Unione Europea e gli Stati Uniti nel corso degli ultimi anni hanno espresso ripetutamente le loro preoccupazioni sulla situazione ucraina, sottolineando comunque gli sforzi che il paese sta facendo e che la guerra ha ostacolato, per forza di cose e spostamento di priorità. La dimensione del problema è però molto ampia e non si limita appunto ai funzionari arricchitisi per aver allargato le maglie con le reclute scappate all’estero e qualche milione di franchi su conti esteri. Secondo l’Istituto per l’economia mondiale di Kiel, in Germania, Bruxelles e Washington dall’inizio del conflitto sono stati i maggiori donatori verso l’Ucraina, rispettivamente con oltre 70 e 35 miliardi di dollari in aiuti, finanziari, umanitari e militari; i costi per la ricostruzione del dopoguerra si aggirano già adesso intorno ai 750 miliardi di dollari: cifre da capogiro, con i flussi di denaro che dovranno essere controllati per evitare che prendano canali oscuri come successo talvolta nel passato.