Con l’accelerazione impressa dal presidente statunitense Donald Trump per la risoluzione del conflitto in Ucraina stanno emergendo i punti chiave di quella che sarà la road map per la pacificazione del conflitto che dura ormai da tre anni, o da undici, se si prende come principio il 2014, anno di inizio della prima guerra nel Donbass. La strada sarà disegnata a grande linee dai due attori principali della proxy war, la guerra per procura, ossia Russia e USA, mentre la stessa Ucraina e a maggior ragione l’Unione Europea avranno un ruolo più ridotto: il peso specifico di Kiev e Bruxelles nelle future trattative, sui cui regnano comunque ancora molte incognite, è per forza di cose molto minore rispetto a quello di Mosca e di Washington.
Il ruolo di Volodymr Zelensky sarà in questo contesto subordinato alla strategia della Casa Bianca, che nella prospettiva della volontà apparente di ristrutturazione dei rapporti con il Cremlino è molto ampia e comprende altri dossier oltre a quello ucraino. L’UE, dopo il fallimento degli Accordi di Minsk, che dal 2015 erano stati affidati a Francia e Germania, firmatari e garanti dell’intesa poi andata a rotoli, oggi è politicamente ancor più indebolita e divisa, al di là della retorica unitaria e di sosteno incondizionato a Kiev. In ogni caso, come si è notato nel primo approccio diplomatico tra Russia e Stati Uniti a Riad, una delle tappe sulla via della pace è quella delle elezioni presidenziali e parlamentari in Ucraina, che dovranno determinare il nuovo quadro politico postbellico.
La via alle elezioni
La guerra ha di fatto bloccato il cambiamento democratico nel Paese, con l’impossibilità di tenere le previste elezioni dopo le scadenze dei mandati di capo dello Stato e Rada, il parlamento di Kiev. La legge marziale ancora in vigore impedisce tecnicamente lo svolgimento del voto, ma è evidente che in vista della fine del conflitto l’Ucraina dovrà ridefinire gli equilibri interni. Anche se sia la tempistica dei negoziati sia ovviamente il loro esito sono ancora tutti da vedere, è presumibile che gli ucraini possano essere chiamati alle urne già entro la fine dell’anno, forse già in autunno. Da questo punto di vista a spingere proprio l’acceleratore, in maniera pubblica e decisa, è stato lo stesso Donald Trump, che è sembrato andare incontro a Vladimir Putin, secondo cui la legittimità di Zelensky è in dubbio dopo la scadenza ufficiale del mandato nella primavera del 2024. Il presidente ucraino, il cui feeling con Joe Biden era limitato, con il nuovo inquilino della Casa Bianca sembra avere difficoltà ancora maggiori, anche nella cornice di quelle che potranno essere le conclusioni delle trattative e il costo, non solo territoriale, che Kiev sarà costretta a pagare.
Zelensky e gli altri
Il destino politico di Zelensky sembra dunque appeso ai risultati del processo di pace e al futuro appoggio degli Stati Uniti. La popolarità del capo di Stato ucraino negli ultimi tre anni ha seguito in sostanza l’andamento del conflitto e dalla fiducia pressoché assoluta che aveva nel 2022 è passato al dimezzamento dei consensi nel 2025: soprattutto dopo la fallita controffensiva del 2023 i rating di Zelensky hanno iniziato a diminuire e secondo gli ultimi sondaggi dell’Istituto di sociologia di Kiev, risalenti allo scorso dicembre, solo il 52% degli ucraini concede fiducia al presidente, percentuale che scende al 42 nelle regioni orientali del Paese, quelle più vicine al fronte. In parallelo è salita la fiducia della popolazione per il generale Valery Zaluzhny, ex capo delle forze armate ucraine, costretto alle dimissioni nel febbraio del 2024 e considerato forse il più temibile avversario di Zelensky: parcheggiato come ambasciatore a Londra, Zaluzhny ha mantenuto forti legami a Kiev e relazioni diplomatiche con le cancellerie occidentali. Stando ai numeri pubblicati dall’Istituto Socis a gennaio, il generale è oltre il 70% dei consensi, seguito da Kirilo Budanov, capo dell’intelligence militare di Kiev con circa il 47% e Zelensky con il 41%.
Poroshenko e la giustizia selettiva
Tra gli avversari più illustri per l’attuale presidente nella prospettiva del prossimo voto c’è anche Petro Poroshenko, oligarca ed ex capo di stato (2014-2019) e leader del maggior partito di opposizione alla Rada. Poroshenko, che ha già annunciato la data delle elezioni, il 28 ottobre, dopo l’arrivo di Zelensky alla Bankova, il palazzo presidenziale nel centro di Kiev, era finito nei radar della giustizia selettiva, accusato di alto tradimento, poi lo scoppio nel 2022 della guerra aveva anestetizzato il percorso nei tribunali, tornato però puntualmente attuale ora, tra sanzioni personali e congelamento dei beni. Poroshenko in realtà non gode di molta popolarità, è uno dei grandi vecchi della politica ucraina, insieme all’ex eroina della rivoluzione arancione del 2004, Yulia Tymoshenko, ma rimane uno dei poteri forti dell’oligarchia del Paese, pronta a stringere alleanze con quelli nuovi, su cui puntano gli attori esterni, USA in primis, per superare l’era Zelensky.
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