In tutta l’India oltre un milione di medici sta scioperando e lo farà per tutto il fine settimana per protestare contro le scarse condizioni di sicurezza negli ospedali. Le proteste sono scoppiate la scorsa settimana a seguito dello stupro e dell’omicidio di una praticante nell’ospedale di Calcutta, la capitale dello stato del Bengala Occidentale. Il caso ha scosso il Paese intero e ha messo in evidenza le lacune del sistema sanitario. Oltre il 75% dei medici in India dice di aver subito violenze di diverse forme sul posto di lavoro, come racconta la dottoressa indiana, Christianez Ratna Kiruba.
Dottoressa, lei si è già trovata in una situazione di pericolo in ospedale?
“Sì, spesso. Noi medici siamo frequentemente confrontati con la rabbia dei pazienti, soprattutto quando lavoriamo in contesti con risorse limitate, come spesso accade in India. Mi capita di trovarmi in situazioni di pericolo quando, ad esempio, presento la fattura e i pazienti trovano che sia troppo alta e non la vogliono pagare. Al contrario di altri Paesi, in India i soldi non vengono riscossi dall’amministrazione dell’ospedale ma attraverso i medici. Con questo sistema, quando presentiamo la fattura i pazienti si arrabbiano. Ricordo che una volta ero seduta e stavo preparando la lettera di dimissione ospedaliera e un uomo molto robusto si è avvicinato a me, ha picchiato il pugno sul tavolo e ha iniziato a urlare. Mi ha guardata negli occhi e mi ha detto: “Ci avete fatto pagare troppo”. Fortunatamente non è successo nulla, ma non so cosa sarebbe accaduto se mi avesse colpito, perché lì non c’erano persone pronte a difendermi. E poi va detto: il conto non è che finisca nelle mie tasche direttamente! Quindi i medici si trovano ad affrontare questi tipi di minacce senza nemmeno avere la certezza di essere pagati”.
Secondo lei soluzioni possono essere implementate per risolvere questo problema? Cosa chiedete al governo?
“Abbiamo bisogno di maggiori investimenti nelle infrastrutture. Dobbiamo creare più stanze per i medici di servizio, impiegare più guardie di sicurezza. Le telecamere a circuito chiuso devono essere presenti ovunque. Tutto questo richiede che il governo investa denaro nel sistema sanitario pubblico. E poi vogliamo che non ci siano più casi di violenza sessuale contro le donne. Vogliamo inoltre che ci siano anche dei comitati di reclamo interni o che qualsiasi altro sistema di ricorso esistente sia più solido, in modo da poter presentare facilmente un reclamo. E infine che qualunque sia il nostro reclamo, ci sia poi un processo d’indagine equo”.
Negli anni trova che la situazione sia peggiorata oppure è sempre stata così critica?
“No, è decisamente peggiorata. La prima volta che ho sentito parlare di casi di violenza contro i medici, all’età di 15 anni circa, ho visto in televisione un’ostetrica che veniva accoltellata. Aveva in cura una paziente molto malata. Sia la paziente, sia il suo bambino erano malati, e lei aveva cercato di gestirli nella sua clinica. Ma con il peggiorare della sua salute, l’ostetrica l’aveva mandata in ospedale, gestendo bene il caso. Sfortunatamente, la madre e il bambino sono morti, nonostante i suoi sforzi. E il padre, pieno di dolore, accoltellò a morte l’ostetrica. Era la prima volta che una cosa del genere veniva raccontata dal telegiornale. Prima di allora non si era mai sentito parlare di violenza contro i medici. Era più comune la violenza contro altri operatori sanitari come gli infermieri e le guardie di sicurezza. Da allora i casi sono aumentati costantemente e soprattutto nell’ultimo anno ogni mese c’è un problema”.