Nei prossimi 60 giorni, in Messico, gli aspiranti giudici dovranno farsi conoscere sui social media, partecipare a forum e distribuire volantini. Il primo giugno si terranno le elezioni, e i posti saranno distribuiti a seconda del favore popolare. Per queste campagne, però, non ci sono fondi, ci sono invece molti limiti, come quello di non tenere comizi pubblici, simili a quelli dei politici. Altri paesi hanno introdotto la votazione popolare dei giudici, ma limitandola ad alcuni livelli, il Messico è il primo invece a introdurre le elezioni di tutti i suoi giudici, da quelli locali fino alla Corte Suprema.
Questa è la nuova realtà del sistema giudiziario messicano, frutto della riforma costituzionale approvata lo scorso settembre, che ha rivoluzionato la carriera dei giudici. Con un minimo di un anno e mezzo di studi e un anno di esperienza legale, chiunque può candidarsi. Non sono previsti esami né valutazioni dell’esperienza, e i candidati vengono selezionati tramite estrazione. Chi raccoglie abbastanza voti ottiene un mandato di 8 anni, dopodiché dovrà ripresentarsi. La facilità di candidatura e l’alta probabilità di astensione al voto rendono il sistema vulnerabile a pressioni esterne. Il timore è che i partiti, soprattutto quello al potere, possano promuovere i propri candidati e sfruttare l’influenza politica per ottenere voti e controllo sui tribunali. La stessa preoccupazione riguarda il crimine organizzato, che potrebbe approfittare del suo potere territoriale.
La riforma è vista come un momento decisivo per la perdita di indipendenza del sistema giudiziario e per il rafforzamento dell’accentramento dei poteri, un passo indietro per la giovane democrazia messicana. Per 70 anni, il paese è stato dominato dal PRI (Partito Rivoluzionario Istituzionale), un regime che è stato interrotto solo nel 2000, quando il Messico ha conquistato con difficoltà elezioni autentiche e istituzioni democratiche. L’amministrazione dell’ex presidente Andrés Manuel López Obrador, che ha concluso il suo mandato nel settembre scorso, ha spinto il paese verso un ritorno al potere centralizzato, attraverso politiche e retorica populista. La proposta di eleggere i giudici mira a combattere la corruzione, ma è un “potere al popolo” più teorico che pratico, in un paese dove la violenza e il crimine si accompagnano a un’impunità quasi totale. Se molti hanno sostenuto la riforma sperando in un cambiamento, i sondaggi dicono altro: si stima che solo l’8-15% degli aventi diritto parteciperanno al voto, dato che i candidati sono sconosciuti e le leggi difficili da comprendere senza conoscenze specifiche.
Il sistema giudiziario aveva senza dubbio bisogno di riforma, ma questa non affronta i problemi strutturali. Invece di risolvere le carenze profonde, la riforma ha reso i giudici il target di un malcontento generale. La scarsità di risorse e di volontà politica, unita all’influenza della criminalità organizzata sulle autorità, fa sì che oltre il 90% dei crimini resti impunito. Solo una parte dei crimini viene portata davanti a un giudice, le indagini sono lente, partono tardi e raramente portano a arresti o prove sufficienti per un processo.
A dimostrazione del controllo politico sui giudici, è stato istituito il Tribunale di Disciplina Giudiziaria, che avrà il compito di sorvegliare i giudici federali. Secondo il governo che i giudici non saranno puniti per il contenuto delle sentenze, ma solo per comportamenti scorretti, ma i giudici temono che la distinzione sia troppo vaga, oltre che lo stesso tribunale si occupi sia della raccolta delle prove che della sanzione. Non c’è possibilità di appello esterno, e il tribunale ha il potere di incarcerare i giudici.
Infine, ci sono gravi problemi pratici. Molti giudici si stanno dimettendo, rifiutando di lavorare secondo le nuove regole imposte dalla riforma. A partire dal primo giugno, molti dei nuovi giudici avranno una preparazione insufficiente e poca o nessuna esperienza. Ci si aspetta un lungo periodo di transizione, un caos amministrativo, con nuovi ritardi, errori e difficoltà nei passaggi di consegna dei casi.