Sono ormai oltre 250 i morti causati dal conflitto che si è riacceso da mercoledì in Siria, dopo anni di precaria calma, parallelamente alla cessazione delle ostilità con la tregua fra Israele ed Hezbollah entrata in vigore nel sud del Libano. Un’offensiva preparata per mesi da milizie antigovernative, qaidiste e filo-turche, guidata dal gruppo Hayat Tahrir al Sham, ha travolto in poco più di 24 ore una cinquantina di località nel nord e nord-ovest del Paese. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, un’ONG con base nel Regno Unito ma con una fitta rete di informatori sul posto, i miliziani sono ormai entrati in alcuni quartieri di Aleppo, bombardata venerdì per la prima volta dopo quattro anni. Fra le vittime ci sono anche una trentina di civili, su entrambi i lati del fronte, e un generale dei Pasdaran iraniani. Oltre 10’000 abitanti sono sfollati.
Damasco ha inviato rinforzi militari. È un’operazione che minaccia la sovranità del Paese, secondo il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, tanto che anche l’aviazione russa presente nel Paese è intervenuta a sostegno dell’alleato Bashar el Assad, bombardando i ribelli che avanzano. Durante la guerra civile scoppiata nel 2011, nel 2016 il sostegno di Mosca era stato fondamentale per permettere ai siriani di riconquistare Aleppo.
Quello siriano è un teatro dove si confrontano, per procura, interessi divergenti: il regime di Assad è appoggiato da Iran e Russia, le milizie del nord hanno la simpatia di Ankara e poi ci sono Israele e Stati Uniti, con in particolare il primo che ha ripetutamente colpito la Siria con i suoi attacchi aerei negli ultimi mesi.