Mondo

Nella terra dei veleni

Viaggio nella Terra dei fuochi che, dimenticata, continua a bruciare - Il reportage

  • 3 aprile 2016, 19:57
  • 6 settembre 2023, 05:08
Orta di Atella - rifiuti di aziende clandestine

Orta di Atella - rifiuti di aziende clandestine

  • RSI - Nicola Agostinetti

Sulla via che porta da Caserta a Maddaloni, capannoni industriali dismessi e prostitute. "Che cosa è discarica?" dice con accento dell’est una ragazza, vedendo degli sconosciuti penetrare in quello che considera il suo territorio. Siede su una sedia da campeggio arrugginita e, nessuno deve averglielo detto, su una micidiale bomba ecologica. Più in là dal terreno esce una nuvoletta azzurra appena percettibile. La puzza dà il voltastomaco e tiene alla larga i curiosi. Lì sotto ci sono interrati 200'000 metri cubi di rifiuti chimici e di batterie scariche. L'equivalente di 2'000 TIR carichi di ogni schifezza industriale immaginabile. Un tempo questa era una cava di tufo. Si è scavato finché non si è arrivati alla falda freatica. Allora qualcuno pensò bene di riconvertire quell'enorme e inutile buca in discarica. Veleni, gettati direttamente dentro l'acqua, che dietro il cumulo di pattume industriale ancora oggi affiora. Tutt'attorno coltivazioni, pomodori, piselli, peschi in fiore.

Il traffico dei rifiuti

"Le industrie del nord portavano qui i loro rifiuti - spiega Enzo Tosti - a farli sparire a prezzi stracciati ci pensava la camorra." Enzo Tosti: un giorno gli mostrarono una fossa e gli dissero che era stata scavata per lui. Fu l’unica volta che ebbe paura in una vita altrimenti fatta di lotta, denunce e impegno sociale. Enzo parlava di terra dei fuochi, di sversamenti illegali e discariche abusive già negli anni Novanta, quando nessuno poteva ancora immaginare e quando l’omertà copriva tanto quanto coprono qualche metro di terra e le lastre di cemento. Oggi ne conosce ogni angolo, ogni braciere, ogni indicibile segreto. E sa che negli anni nulla è cambiato.

Sulla superstrada fuori Orta di Atella un uomo fa footing zigzagando tra i cumuli di spazzatura. La munnezza ricopre le piazzole, le corsie d'emergenza, le aiuole spartitraffico. Addobba di plastica e imbarazzo il paesaggio. "Serve a creare l'impressione che ancora oggi viviamo un'emergenza - spiega Enzo - E così ci si convince ad aprire altre discariche e il business dei rifiuti può continuare."

Orta di Atella - resti di roghi

Orta di Atella - resti di roghi

  • RSI - Nicola Agostinetti

Orta di Atella è un polo d'eccellenza nella sartoria. Un polo in parte invisibile, che si nasconde nel buio dei sottoscala e degli scantinati dei palazzi. La parte visibile è in mezzo alla strada. Scarti di lavorazione, brandelli di tessuti, bidoni di coloranti, solventi e colle che macerano sotto il sole. Tutti rifiuti speciali che andrebbero trattati e smaltiti come tali. Qui vengono invece abbandonati in mezzo a una piazza che l'Europa, concedendo qualche anno fa i suoi generosi fondi per la costruzione, immaginava come vetrina del polo manifatturiero. Prima o poi, in qualche notte buia, qualcuno passerà a dar fuoco al tutto per liberare spazio. Funziona ancora oggi così.

La munnezza e il sistema biscotto

"Ecco perché alla base di quello che diventa poi un reato ambientale, c'è un reato economico. Un’industria clandestina non può che produrre rifiuti clandestini" Il generale Sergio Costa, capo della forestale campana, sequestrò la prima discarica abusiva 25 anni fa. Non c'erano né le leggi né la sensibilità ambientale che c’è oggi, ricorda. "Contestai la bruttezza del sito, solo così - prosegue il generale - sulla base di un decreto regio del '31, il sequestro fu possibile." Oggi i reati ambientali sono puniti e chi è colto ad appiccare il fuoco ai rifiuti è punibile. Dalla finestra del suo ufficio all'ottavo piano di un palazzo scrostato, vista sul golfo di Napoli e su una lingua di terra abbandonata, guarda caso, coperta di munnezza. Tra la spazzatura vive anche qualche rifiuto della società.

Calvi Risorta - discarica abusiva Pozzi Ginori

Calvi Risorta - discarica abusiva Pozzi Ginori

  • RSI - Nicola Agostinetti

Costa ha inventato un metodo che sfruttando i campi magnetici riesce ad individuare tutti i vergognosi segreti che per decenni la sua terra ha custodito. Così, nemmeno un anno fa, ha scoperto la discarica di Calvi Risorta, la più grande discarica abusiva interrata d’Europa. Le ruspe inviate dal generale hanno scavato dei lunghi solchi nella terra, che oggi sembrano ferite aperte. I tagli rivelano la metodicità dell’interramento, quello che Costa ha battezzato il sistema a biscotto: uno strato di rifiuti inerti, un altro di copertoni, poi i bidoni con i solventi, poi uno strato di terra e così via. Come un millefogli tossico. Un intombamento scientifico, un lavoro ingegneristico, così che il terreno non possa cedere, che da sopra non ci si accorga di nulla e che in mezzo a quelle schifezze ci finisca dentro anche la memoria. La vegetazione nel frattempo ha ripreso il sopravvento ricoprendo l’imbarazzo criminale di un verde innocente e bugiardo. I fiori portano in superficie gli stessi colori sgargianti che avvelenano il sottosuolo. "Là sotto c’è anche la firma di chi ha commesso questo disastro", sbotta Enzo Tosti. Il colpevole si chiama Pozzi Ginori, è scritto persino sui fusti riesumati accanto a diciture che raccomandano di starne alla larga. Lo scheletro della fabbrica, abbandonata oramai da un ventennio, sorge su un terreno vicino. Là si producevano sanitari e vernici, qui si interravano scarti e rifiuti. Due milioni di tonnellate di scarti e rifiuti, per la precisione. Così funzionava. E in questo caso, la camorra, non c’entra nulla. Le responsabilità penali? Interrate dalla prescrizione.

Un Padre Pio dalla terra

"Ma che camorra è, quella che si è svenduta la nostra terra e la nostra gente? Ma mi chiedo se non siano peggiori le colpe degli imprenditori che hanno fatto questo". Don Maurizio Patriciello è un simbolo di questa terra, ma ancor prima è un parroco di trincea. La sua periferia, il parco verde di Caivano, fa sembrare Scampia un lunapark per adolescenti. Un inferno sociale fatto di disoccupazione al novanta percento, pistolettate notturne, eroina e cobret, lo scarto dell’eroina. Scarti nella terra degli scarti, veleni nella terra dei veleni.

"Tempo fa tirarono su una grande statua di Padre Pio su un marciapiedi - racconta infervorandosi Don Patriciello - Brutta come la peste. La feci togliere perché era illegale. Da allora è stata riposta in un deposito a cui il comune paga trecento euro al mese da due anni per l’affitto". Ecco quello che Padre Maurizio chiama oggi il miracolo del santo di Pietralcina. Patriciello predica il Vangelo e la legalità. Solo facendo emergere le aziende clandestine, in cui lavorano operai senza diritti, i roghi cesseranno.

Ma non sono solo imprenditori scellerati, atelier clandestini o camorristi a inondare questa terra di rifiuti, ricorda il parroco. C’è anche lo Stato.

Sulla mappa, una distesa nera

La discarica di Taverna del Re, nei campi fuori Giugliano, guardandola da Google Maps sembra un enorme buco nero, sembra una fotografia mancante tra quelle scattate e messe insieme dal satellite. Invece è una distesa infinita di teloni neri sotto i quali riposano sette milioni di ecoballe. Sette milioni di tonnellate di rifiuti urbani - e forse qualche veleno industriale nascosto - accatastati a formare delle lugubri montagne scure. Un imbarazzo maleodorante dalla superficie maggiore di quella di Expo 2015. Portarono lì le ecoballe al tempo dell’emergenza rifiuti a Napoli. A dieci anni di distanza quella che doveva essere una soluzione temporanea ancora sopravvive. Nel giro di tre anni verrà portata via fino all’ultima ecoballa, ha promesso Renzi stanziando i fondi necessari allo sgombero, ma secondo alcuni ambientalisti per incenerire l’interna Taverna del Re di anni ce ne vorrebbero almeno trenta, o forse più. Ogni balla, ogni singola balla, andrebbe sventrata, controllata, sezionata ed il contenuto analizzato e suddiviso.

La storia del piccolo Riccardo

Anna Magri ricorda bene l’emergenza rifiuti in Campania. A quel tempo era incinta di Riccardo. Le scarpette di suo figlio oggi sono riposte con cura su una mensola della credenza nel soggiorno di casa, ad Afragola. Dietro c’è una sua foto, in uno dei suoi rari sorrisi. "Riccardo ha detto la sua prima parola in ospedale, ha mosso il suo primo passo in ospedale, invece di mamma come prima cosa ha imparato il nome della sua infermiera". Il racconto di Anna è filante, nonostante i groppi alla gola e il singhiozzo che ogni tanto tira qualche sgambetto. Ogni sua parola è uno schiaffo. Riccardo è morto tra le sue braccia per una leucemia linfoblastica acuta quando aveva 22 mesi. Quando i medici gli diedero un mese di vita, Anna lo portò a vedere il mondo che aveva conosciuto solo sui libri e in televisione: le giostre, gli animali, il mercato, la bicicletta. “Respiravo continuamente i fumi dei roghi, la diossina sprigionata era ovunque. Il rapporto di causa e effetto non va dimostrato - prosegue Anna - è un fatto.” Nella terra dei fuochi ci si ammala di più, ci sono più ricoveri, ci sono più tumori e più morti. Non lo dice solo Anna, lo dice anche un recente rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità. Ci si ammala come ci si ammala a Taranto. “Ma qui l’Ilva non c’è - sbotta Padre Maurizio - e le fabbriche nemmeno”.

Anche Enzo Tosti ha scoperto di avere una leucemia al sistema linfatico, proprio come il piccolo Riccardo. Nel suo sangue sono state ritrovate tracce di sostanze un tempo prodotte da un’azienda di Brescia e nel frattempo messe al bando. Forse quelle sostanze sono state la causa del suo male. Come siano finite nel suo corpo nessuno lo sa. Enzo, a Brescia, giura di non essere mai stato.

Nicola Agostinetti


Italia, reportage dalla Terra dei fuochi

Telegiornale 03.04.2016, 22:00

Correlati

Ti potrebbe interessare