È morto O.J. Simpson, i canali tivù non parlano d’altro e la memoria come quell’inarrestabile running back corre lungo le iarde della storia al 1994, quasi trent’anni fa.
O.J. era un’ex stella del football americano, volto notissimo e amato, da qualche anno avviato verso una brillante carriera cinematografica, quando la calda serata dell’inizio del weekend americano venne interrotta per mostrare in diretta televisiva la fuga dell’idolo delle folle, dello sportivo afroamericano che aveva fatto breccia nei cuori dell’America bianca. Due giorni prima la sua ex moglie Nicole Brown e il nuovo compagno erano stati assassinati, lui sta per essere incriminato e scappa. Cinque ore sull’autostrada di Los Angeles braccato dalla polizia, per un’ora e mezza tutti i notiziari seguono quella Ford Bronco bianca fino all’inevitabile resa e all’arresto visti – si stima – da quasi cento milioni di telespettatori. È la fine di una storia idealizzata, è l’inizio di uno dei casi giudiziari più controversi e mediatizzati.
Quello a O.J. Simpson è il “processo del secolo”, prodromo dei dibattimenti in diretta televisiva, dell’informazione ventiquattrore su ventiquattro e dei reality show che imperverseranno negli anni a seguire. Il caso divide il Paese e il procedimento dura otto mesi. Fuori dall’aula, frotte di giornalisti e di tifosi, divisi tra colpevolisti e innocentisti. Lontano dal tribunale, negli Stati Uniti di metà Anni Novanta, le proteste e gli scontri razziali imperversano; due anni prima proprio a Los Angeles Rodney King era stato brutalmente malmenato dalla polizia. La tesi della difesa dell’accusato – che Simpson fosse stato incastrato dalla polizia “razzista” di Los Angeles – fa breccia. Macchie di sangue, testimonianze e altre prove sembrerebbero schiaccianti, ma il 2 ottobre 1985, dopo meno di tre ore in camera di giudizio, una giuria prevalentemente nera assolve O.J. Simpson: “not guilty”, non colpevole.
Il verdetto provocò un enorme clamore, fu celebrato o scandalizzò, rivelò due americhe, dimostrando come – in quanto a fiducia nelle forze dell’ordine e nel sistema giudiziario – bianchi e afroamericani vivessero in Paesi diversi, qualcosa che gli Stati Uniti non volevano più credere o assolutamente non più ricordare. Scagionato sul piano penale, due anni dopo venne condannato in sede civile a pagare 33 milioni di dollari di risarcimento. Un delitto e castigo in salsa californiana. Ma ormai da quella sera d’estate del 1994 il piano inclinato della vita di O.J. Simpson – già stella dello sport e della celluloide – era segnato.
Ci sarà la condanna per il furto di cimeli sportivi a Las Vegas, il carcere per cinque anni, le immagini di colui che era stato uno dei più leggendari giocatori della NFL divenuto un barcollante detenuto del Nevada. Ci sono stati libri, film, documentarim serie tv e brani musicali per raccontare chi era O.J. Simpson. C’è stato il silenzio che ha rispettato la privacy durante la malattia che l’ha stroncato a 76 anni. Poche vicende come quella di O.J. Simpson sono state una storia di redenzione e caduta, una storia tipicamente “made in America”.
SEIDISERA dell’11.04.2024 Morte di O.J. Simpson
RSI Info 11.04.2024, 18:50